1973
URFAUST
di J. W. Goethe
Traduzione Amoretti. Regia di Gennaro Vitiello; oggetti-scultura Riccardo Dalisi; marionette Marisa Bello; musiche di Giorgio Vitale; tecnici di scena e delle luci Fernando Pignatello, Costantino Meo, Magda D’Ambrosio.
Attori: Mario Salomone (Faust), Vincenzo Salomone (Mefistofole), Marisa Bello (Margherita), Maria Izzo (Marta), Giuseppe De Nubbio (Wagner), Michele Ragni (studente), Giuseppe Bosone (Valentino), Silvana Lianza (Lisetta).
Prima rappresentazione il 26 gennaio 1973 presso il Teatrino di Corte di Palazzo Reale – Napoli.

Ur-Faust
il nuovo inizio

E’ il primo spettacolo messo in scena dalla Libera Scena Ensemble dopo lo scioglimento del TS. Il programma di sala cita una frase di Mittner sull’ Ur-Faust“Per comprendere ciò che è l’Ur-Faust bisogna isolarlo rigorosamente dalle aggiunte posteriori, bisogna cioè sforzarsi di dimenticarsi il Faust definitivo.” (1). La citazione è il tentativo da parte di Vitiello di spiegare la scelta di questa stesura del Faust, un tentativo fallito perché, come si vedrà dalle recensioni, alla maggior parte dei critici, e forse del pubblico, è sfuggita la vera valenza di questo spettacolo: “…Che significa la scelta di questo testo? Significa: dove dobbiamo andare? Cosa dobbiamo scegliere? Il diavolo o una strada difficile e complicata che al momento non ci dà risposte? Lui ha scelto la strada più difficile…” (2). La scelta del testo “…non era solo una necessità estetica, era anche il fatto che lo stesso Goethe lo rappresentava in un teatrino di marionette costruito da lui stesso, con le sue marionette. Infatti, non c’è il passaggio da una scena all’altra, o più di due attori contemporaneamente sulla scena. Ci siamo ricordati anche di questo: che giocava con le marionette e per questo siamo arrivati a Kleist…” (3).

Il programma di sala, dopo la citazione, continua con una specie di manifesto che dovrebbe spiegare la filosofia teatrale della LSE, ma che sembra più un editto: “L’ensemble “LSE” ha voluto mettere in scena l’Ur-Faust di Goethe per far conoscere quella linea di teatro di rivolta di un certo sviluppo letterario europeo che partendo dallo Sturm und Drang giunge fino a Brecht. La tecnica del teatro shakespeariano dell’Ur-Faust con la successione di scene staccate si oppone alla meschinità della situazione di classe costretta in regole sociali, rifiutando la costrizione di qualsiasi regola drammaturgica…La “LSE” bandisce perciò ogni cliché teatrale, sia quelli che provengono dal teatro ufficiale, sia quelli che la stessa avanguardia ha generato” (4). Lo spettacolo, caldeggiato e finanziato dal Goethe Institute di Napoli, fu rappresentato presso il settecentesco teatrino di Corte di Palazzo Reale.

Il lavoro preparatorio per questo spettacolo è stato lungo e duro: studio dell’improvvisazione, la destrutturazione dei testi in Stationen Drama, (tema che tornerà nelle successive messe in scena della LSE), lo studio di Kleist (5) sulle marionette, quello di Craig sulla super-marionetta e lo studio sul frammento, che sarà poi ampliato e approfondito nell’Empedocle. Vitiello non sceglie a caso l’opera giovanile di Goethe, e “…il saggio di Kleist sul Teatro delle Marionette è stato l’avvio per trovare una giusta e anticonvenzionale strada per la lettura interpretativa dell’Ur-Faust” (6). L’attenzione di Vitiello si concentrò sul lavoro di Kleist proprio come proposta per il lavoro dell’attore, con esercizi e tecniche espressive che riproducessero le marionette, “…come se le nostre articolazioni avessero dei fili immaginari…” (7). Si decise di evitare di far trasparire le emozioni dalle espressioni del volto, perché la marionetta ha un volto fisso, sempre la stessa espressione, “…tutta l’espressione delle emozioni…era nella voce e nella gestualità” (8), “…l’attore che diventa marionetta e puparo di se stesso allo stesso tempo. Ogni attore ha creato la sua marionetta” (9). Si ha un’esaltazione del gesto, un movimento da teatro-danza; l’interpretazione del personaggio non veniva fuori dal volto, ma era fisicizzata, “…le espressioni non erano esternate dal volto, ma espresse in una gestualità amplissima, larga…” (10). Ma la critica sarà inesorabile con questo spettacolo, si parlerà di “…un Faust contorsionista” (11), di “…traballanti evoluzioni dei giovani attori” (12), di “immortali personaggi goethiani presi da una sorta di ballo di San Vito…con vocine monotone e querule sul palcoscenico semibuio…di personaggi-burattini, resi così indifferenziati teatralmente e privi di ogni approfondimento psicologico” (13). Nemmeno il personaggio di Margherita sarà risparmiato: “una Margherita…tanto inverosimile nella sua infelice disperazione che si confonde nella memoria con le Ofelie delle recite parrocchiali…” (14).

Il testo viene definito dal regista gioco teatrale e nel gioco lui ravvisa la vera essenza del testo: “…Gennaro sceglie l’Ur-Faust perché è scritto per un teatro di marionette e la parte poetica emergeva più ricca che negli altri Faust…” (15). Accettando il giudizio di Goethe sul suo Ur-Faust“un gioco serio, molto serio”, Vitiello decide, quindi, di scegliere come linguaggio scenico quello ora spezzato, ora danzante delle marionette, arrivando anche a ridurre un’azione del testo in un vero e proprio spettacolo di burattini, “…fantocci di pezza che animati da abili mani in un teatrino montato in scena interpretano l’episodio ridanciano di Faust e Mefistofele che si prendono gioco dei compagnoni bevitori nella cantina di Auerbach…” (16).

Le scene erano dell’architetto Riccardo Dalisi, essenziali e funzionali, con pochi oggetti. Dalisi non fu scelto a caso da Vitiello, di lui conosceva il lavoro con i ragazzi del Rione Traiano, a Napoli, l’animazione e la costruzione di opere d’arte da parte dei bambini del luogo. “…Io dicevo ai miei ragazzi che il modo migliore di fare contestazione non era quello di occupare la facoltà, ma di lavorare nei rioni più poveri e abbandonati, di lavorare con ragazzi che non avevano mai visto dei colori e dei fogli di album, che non avevano mai dato libero sfogo alla loro creatività. Vitiello seppe di questo mio modo di lavorare e volle conoscermi. Poi si decise che io avrei dato una mano per l’Ur-Faust, ma la novità fu che io non disegnai nulla per lo spettacolo, perché si usarono degli oggetti che avevo già creato per altri eventi, e Gennaro decise che gli attori, nei loro movimenti, avrebbero seguito le forme, le curve degli oggetti: la sedia di Faust, quella di Margherita, l’ala di Michelangelo e il pozzo. Secondo me in questo sta la novità della mia collaborazione…” (17). Gli oggetti erano la scena:“…vivificati attraverso la rappresentazione…oggetti gesticolanti…oggetti marionetta” (18), presenti sulla scena fin dall’inizio dello spettacolo, senza cambi di scena: “…il pozzo della piazza, ad esempio, con un gioco di luci diventava, nella penombra, una cattedrale gotica. La sedia di Faust, con i suoi disegni gotici, rappresentava il mondo di Faust, mentre quello di Margherita era dato dalla sedia con i cuori scolpiti nello schienale…” (19).

Le musiche, curate da Giorgio Vitale, spaziavano dal repertorio barocco a quello contemporaneo, Gabrielli, Strawinskj, Hindemith, “…l’assegnazione di un ammaliante motivo leitmotiv barocco al personaggio di Margherita, o…la strumentalizzazione di certe fondamentali ambiguità presenti nella musica di Orff per presentare, insito un giudizio evidente di fondo, Frosch e compagni e il loro mondo, hanno sortito l’effetto di un prodotto chiaro…fino ad essere didascalico…” (20).

I costumi erano del laboratorio del Teatro San Carlo, “approssimativamente raccolti nei guardaroba del Teatro S.Carlo” (21), le marionette di Marisa Bello.

L’ Ur-Faust è il primo spettacolo che nasce per essere mobile, per poter essere rappresentato in una piazza o in un teatro tradizionale, “…perché ha una totale rivoluzione con cambi di scena a vista con l’attore che diventa servo di scena” (22), ma soprattutto è la nascita del nuovo attore, che “ha acquisito una nuova dimensione dello spazio scenico…infiniti altri modi di ricerche sul personaggio” (23).

Note:

  1. L. Mittner – citato dal programma di sala Ur-Faust, gennaio 1973
  2. S. de Matteis – intervista concessa il 25/10/1995
  3. V. Salomone – intervista concessa il 4/10/1991
  4. Programma di sala Ur-Faust.
  5. H. von Kleist a proposito delle marionette affermava: “…quei fantocci hanno il vantaggio di non essere soggetti alla legge di gravità…Le marionette hanno bisogno del terreno solo, come gli elfi, per sfiorarlo e rianimare l’impeto delle membra col momentaneo ostacolo. Noi invece ne abbiamo bisogno per posare su di esso e ristorarci dallo sforzo della danza…” – Teatro delle marionette, Il Melangolo, Genova 1979, p. 14.
  6. Programma di sala Ur-Faust.
  7. M. Bello – intervista concessa il 26/4/1993
  8. ibidem
  9. V. Salomone – ibidem
  10. ibidem
  11. Vice – “Urfaust”, Roma del 28/1/1973
  12. anonimo – “L’Urfaust di Libera Scena”, l’Unità del 30/1/1973
  13. ibidem
  14. ibidem
  15. V. Salomone – ibidem
  16. F. d. C. – “Urfaust di Goethe”, Il Mattino del 28/1/1973
  17. R. Dalisi – intervista concessa il 16/11/1991
  18. R. Dalisi – dal programma di sala Ur-Faust.
  19. G. Bosone – intervista concessa il 3/10/1991
  20. G. Vitale – note per programma di sala Empedocle, settembre 1973
  21. pari – ibidem
  22. V. Salomone – ibidem
  23. G. Vitiello – ibidem

Recensioni:

  • F.d.C. – “Urfaust di Goethe”, Il Mattino 28/1/1973
  • vice – “Urfaust“, Roma 28/1/1973
  • Anon. – “L’Urfaust di Libera Scena”, l’Unità 30/1/1973
  • vice – “Urfaust napoletano al Biondo”, L’Ora 11/4/1973
  • Anon: – “Faust colto all’origine”, Giornale di Sicilia 11/4/1973
  • P. Picone – “Napoli sempre e Urfaust rappresentati a Sant’Agata”, Il Mattino 13/8/1975

Testo tratto dalla tesi di laurea in Istituzioni di regia, “Gennaro Vitiello, regista” di Leonilda Cesarano, per il Corso di Laurea in Dams – Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Bologna, relatore prof. Arnaldo Picchi.