1983
HINKEMANN
di E. Toller
Spettacolo realizzato senza la Libera Scena Ensemble, con il Nuovo Teatro Contro di Napoli
Traduzione e regia di Gennaro Vitiello; scene Gaetano Fiore; costumi Lorenzo Zambrano; scene e costumi realizzati nel laboratorio “‘Na Babele Theatre”; musiche di A. Berg, Bodurodzica Hymn, F. Lehar, B. Britten, C. Mingus, J. Offenbach, K. Ory, A. Shonberg, C. Taylor; capo elettricista Gennaro Iacovitti; strutture metalliche Salvatore Ferraro, Ernesto Nocerino; arredamento “Import-Export”, Corrado Sossi; direttore di scena Antonio Liotti; grafica, amministrazione e organizzazione Adriana Russo.
Attori: Rosario Crescenzi (Hinkemann), Ivana Moretti (Grete Hinkemann), Anna Paolillo (la vecchia Signora Hinkemann), Carlo Damasco (Paul Grosshahn), Francesco Ruotolo (Max Knatsch), Mario Buonfantino (Peter Immergleich), Carlo Di Maio (Sebaldus Singegott), Raffaele Piscopo (Michel Unbeschwert), Anna Baldassarre (Franze, amica di Grete), Antonio Pecoraro (il padrone della baracca), Giorgio Cozzolino, Maria Forte, Anna Ricci, Lorenzo Zambrano (operai, operaie, tipi e gente del popolo delle strade tedesche nella Germania del 1921).
Prima rappresentazione nazionale il 1° febbraio 1983 presso il Teatro Studio Ausonia – Napoli.

Hinkemann
la prima regia senza LSE

Dopo Operetta per una bambola Vitiello decide di accettare un progetto propostogli da Rosario Crescenzi, principale animatore del gruppo Teatro Contro: mettere in scena Hinkemann, di Toller. Entrambi hanno già messo in scena testi di Toller: Vitiello Massa-Uomo (1), seguendo abbastanza fedelmente l’autore, e Crescenzi ha presentato InTOLLERazione a Weimar, nella stagione ‘78/79. Quest’ultimo prendeva spunto dalle vicende personali di Toller nel periodo della Repubblica di Weimar e Crescenzi le aveva adattate alla crisi personale e politica che si viveva in quel momento: “…Quest’ultimo testo risente fortemente della crisi che molti intellettuali vicini alla politica culturale del Partito Comunista vivono in questi ultimi anni…” (2).

Fino a quel momento il gruppo di Rosario Crescenzi ha prodotto molti spettacoli, sempre su testi dello stesso Crescenzi: Bianco, grigio e neroDisperatamente NapoliNa’ BabeleCampania FelixCome festeggiare una festa?. Ma forse l’aspetto più importante del Teatro Contro è la volontà di portare il teatro alla periferia urbana e agli operai: gli esempi più famosi, ricordati anche da Vanda Monaco, furono Tre canti per Secondigliano, lavoro finale dopo due mesi di lavoro presso la Casa del popolo di Ponticelli, e Napoli, quelle giornate e poi…, sei mesi di lavoro con alcuni operai dell’Alfa Sud di Pomigliano d’Arco. Anche questo è un tratto comune con Vitiello: portare il teatro in periferia, dove non è mai stato, dove nessuno ha mai pensato potesse interessare.

Durante un lungo colloquio avuto con Rosario Crescenzi (3) a proposito del lavoro con Vitiello, l’elemento prevalente sembrava essere la domanda “Perché no?”, perché non provare insieme a fare qualcosa noi due che la pensiamo allo stesso modo sul teatro ed amiamo Toller? E sicuramente questo è stato il punto di partenza, ma secondo me non si deve sottovalutare Rosario Crescenzi uomo, al di là del suo ruolo di attore protagonista. Mi spiego meglio: Eugen Hinkemann è un reduce che torna a casa distrutto dopo la guerra: una fucilata lo ha mutilato, o più precisamente lo ha evirato, rendendolo così un diverso, incapace di reinserirsi nella società. E’ circondato da gente crudele che lo compiange e lo deride, un’amica della moglie lo provoca tutte le volte che può e Grete, la moglie, lo tradisce con un uomo più giovane, Grosshahn. L’unico lavoro che Hinkemann trova è quello di attrazione in un circo: all’insaputa della moglie, è lo scannatore, uccide topi vivi mordendoli sul collo. Il finale sarà, chiaramente, triste ed ineluttabile: Hinkemann ucciderà la moglie dopo aver appreso del suo tradimento. La trama è tutta qui, ma la cosa più importante sono i nomi: Hinkemann in tedesco vuol dire mutilato, ma anche zoppo, e Rosario Crescenzi nella vita reale ha davvero problemi ad una gamba, cammina infatti con un bastone, e secondo me è stato questo il motivo per cui Gennaro ha accettato di curare la regia: poteva giocare su più livelli, come piaceva a lui: molto più che qualsiasi altro Gennaro poteva giocare sull’ambiguità della menomazione subita dal protagonista: tutti avrebbero pensato che la famosa fucilata lo avesse colpito alla gamba, rendendolo zoppo per sempre, mentre la vera mutilazione si scopre solo dopo, spiazzando così gli spettatori. Inoltre, Toller gioca sui nomi e sul loro significato: Grosshahn vuol dire gallinaccio, Hinkemann mutilato, ma Gennaro va oltre: gioca sulla falsità dell’evidenza e sulla credulità degli spettatori.

Crescenzi, invece, sceglie il testo per i motivi citati da Vanda Monaco all’inizio del capitolo: c’è molto in comune con la storia narrata da Toller, scritta dall’autore tra il 1920 e il 1921, mentre stava scontando gli ultimi anni di reclusione per motivi politici (4). Nel testo c’è tutta la delusione e l’amarezza dell’intellettuale che vede svanire le sue illusioni sull’avvento di un nuovo ordine e c’è il dramma dell’uomo che si sente emarginato ed impotente per la sua diversità. La parte più propriamente politica è quella dell’osteria, dove Hinkemann incontra proletari prigionieri di sterili ideologie, o funzionari di partito disegnati come ridicole macchiette.

Su tutti Hinkemann, splendidamente disegnato da Rosario Crescenzi, che riesce a rendere il dramma di un uomo tornato dalla guerra mutilato, privato della virilità e con essa della forza e della gioia di vivere, che lavora uccidendo topi a morsi, ma che piange vedendo un cardellino accecato e che soffre “…per il suo annegamento come individuo nel generale processo di massificazione della società…” (5).

Per quanto riguarda la realizzazione dello spettacolo, la scena era volutamente vuota, con pochi oggetti e tanti teli, colorati da schizzi di pittura, che scendevano dal soffitto: “…un chiaro richiamo alle tele di Burri, anche se, secondo me, non erano molto in tono con lo spettacolo. Una citazione più che una reale esigenza…Lo stesso vale per alcune poltrone che Gennaro volle a tutti i costi nello spazio che doveva essere la casa di Hinkemann: erano troppo pregiate per poter realmente essere in una casa modesta come la sua, ma non volle sentire ragioni e fummo costretti a girare giorni per riuscire a trovare un antiquario che le avesse…” (6).

Con Hinkemann Rosario Crescenzi ed il suo gruppo vengono meno ad una delle tradizioni più fortemente radicate: lavorare sempre sul e con il dialetto napoletano, un dialetto urbano lo definisce Vanda Monaco (7), che rimanda sempre a Napoli e ai suoi annosi problemi di disoccupazione, emarginazione, di vita in periferia. La linea seguita fino a questo momento potrebbe spiegare le perplessità di Crescenzi sul modo di impostare il lavoro da parte di Vitiello: per il regista del Teatro Contro il testo doveva essere inteso in senso più strettamente politico, mentre con Vitiello si era avuta l’impressione che prevalesse quello estetico, come ricerca del particolare, a partire dall’attrice principale, Ivana Moretti, romana, scelta dopo aver scartato tante attrici napoletane e con tutti i problemi logistici ed organizzativi che questa scelta aveva comportato.

Due mondi simili per certi aspetti quello di Vitiello e quello di Crescenzi, ma nello stesso tempo lontani: Crescenzi, secondo me, ha ancora paura che estetico sia sinonimo di non-politico, di non impegnato, ed è questo che lo allontana da Vitiello, da suo modo di intendere il teatro.

Recensioni:

  • Franco De Ciuceis – “Anima zoppa”, Il Mattino 1/2/1983
  • Franco De Ciuceis – “Il dramma di un uomo diverso”, Il Mattino 4/2/1983

Note:

  1. Cfr. Cap. I, § 6 tesi
  2. V. Monaco –La contaminazione, cit., pag. 130
  3. R. Crescenzi – intervista concessa il 25/11/1995
  4. Toller aveva appoggiato la rivoluzione rossa della repubblica di Baviera; una volta crollato il sogno, la reazione bianca lo aveva condannato a 5 anni di prigione.
  5. F. De Ciuceis – “Il dramma di un uomo diverso”, Il Mattino del 4/2/1983
  6. R. Crescenzi – ibidem
  7. V. Monaco – ibidem, pag. 130

Testo tratto dalla tesi di laurea in Istituzioni di regia, “Gennaro Vitiello, regista” di Leonilda Cesarano, per il Corso di Laurea in Dams – Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Bologna, relatore prof. Arnaldo Picchi.