Il Cacatoa verde
1977
IL CACATOA VERDE
da A. Schnitzler
Traduzione e adattamento di Gennaro Vitiello, in collaborazione con il gruppo Lo Spettacolo; regia di Gennaro Vitiello; scene e costumi Maria Izzo e Costantino Meo; luci dato non noto; musica dato non noto.
Attori: Gennaro Vitiello, Giuseppe Bosone, Silvana Lianza, Vittorio Viviani, Dino Caso, Antonio Totaro, Giuseppina Ferrara, Maria Izzo, Luigi Basile, Ciro Carluccio, Gaetano e Gennaro Salierno, Rosaria Cariello, Donatella Lolito, Luigi Ferrara.
Prima rappresentazione il 22 aprile 1977 presso il Centro Spirito Santo – Napoli.
Il Cacatoa verde
teatro e rivoluzione
Su una tavola imbandita di fagiani, formaggi, brocche, tacchini e frutta, un attore accende con esasperante lentezza decine e decine di moccoli in candelabri barocchi di cartapesta. Di sottofondo la voce di Yves Montand che canta antichi canti popolari dell’89. Poi compaiono due personaggi, o meglio si sentono le loro voci, voci di ombre dietro un telo bianco, che all’improvviso si trasformano nelle ombre di un cane che morde una mano avvolta in un guanto merlettato.
Inizia così lo spettacolo che Vitiello ha tratto da Il pappagallo verde di Arthur Schnitzler, scritto “…nel 1899 proprio alla vigilia di un secolo che si preannunciava avviato a radicali mutamenti e a sconvolgimenti non indifferenti nell’assetto sociale, economico e politico…” (1). Lo spettacolo fu rappresentato in diverse piazze italiane e partecipò ad alcune rassegne italiane, tra cui Teatro da Voi, nel 1977, per promuovere un intervento organico del teatro di sperimentazione, portandolo soprattutto nei centri emarginati dal normale circuito teatrale di distribuzione. Sempre per un’operazione di decentramento culturale, lo spettacolo partecipò alla IV edizione del Giugno Popolare Vesuviano nelle cittadine di S. Giuseppe Vesuviano, Ottaviano e Terzigno (2).
Lo stesso Vitiello curò la traduzione e l’adattamento del testo, sottolineando soprattutto il “fragile rapporto tra gioco teatrale e realtà rivoluzionaria. Una piacevole rivisitazione dei ribaltamenti pirandelliano-genetiano-schnitzleriano: reale-falso, tragedia-gioco…” (3), con la prevalenza del tema del travestimento, del doppio, dell’opposizione apparenza/realtà, realtà/teatro.
La vicenda è ambientata in un locale notturno, Il Cacatoa appunto, nella notte tra il 13 ed il 14 luglio del 1789, durante una festa alla vigilia della Rivoluzione Francese, festa che sfocerà in una tragedia. Nel locale, di proprietà di Prospère, una volta capocomico ed ora oste, si incontrano borghesi ed aristocratici, attori e spettatori che danno vita ad uno spettacolo, nel quale Henri, un attore della compagnia e marito di una delle attrici, interpreta la parte del marito tradito. Ma proprio durante questo spettacolo-gioco Henri scoprirà l’atroce verità, ossia che il suo ruolo di marito tradito non è solo una parte recitata nello spettacolo e, simulando l’uccisione dell’amante, un aristocratico che si diverte a fare l’attore, lo ucciderà veramente. Il suo omicidio resterà però impunito perché, intanto, fuori è scoppiata la Rivoluzione, c’è la sommossa che porterà alla presa della Bastiglia e con la sua caduta cadrà anche l’ordine prestabilito, ogni legge.
L’azione si svolgeva all’interno di una cantina-tenda, dalle pareti trasparenti e al suo interno trovavano posto anche gli spettatori. Con alcuni di questi gli attori interagivano: “…L’intera azione scenica, che dura circa un’ora e trenta senza intervallo, è tenuta all’interno di una cantina-tenda dalle pareti trasparenti…sui tavoli della cantina composti in settecentesca natura morta ci saranno cibi e vini, alcuni riprodotti in cartapesta, alcuni reali e lo spettatore quando vorrà assaggiarne dovrà compiere le stesse scelte che durante questo gioco compie l’attore…” (4), come in una “…festa rituale e comunitaria tra attori e spettatori: gli uni che uniscono le parrucche, i polsini a sbuffo degli aristocratici con il linguaggio immaginoso e salace del popolo napoletano; gli altri che vengono quasi condotti tra tavole imbandite, candelabri accesi e festeggiamenti finali…” (5).
La maggior parte delle critiche all’epoca sottolinearono soprattutto la poca fedeltà al testo, che secondo alcuni era ridotto a poco più di un canovaccio, con una serie di frizzi e lazzi, tirate all’improvviso, che però non assumono lo spessore di una valida alternativa: “…le poche battute sopravvissute del testo originale costituiscono gli appuntamenti che servono a mettere un po’ di ordine in mezzo agli animati e caotici battibecchi degli interpreti…” (6). Eppure per Giuseppe Liotta è proprio questa la bellezza del testo: “…quanto lo spettacolo si allontana dal testo originario più acquista in vivacità, divertimento e teatralità espansa…è uno spettacolo non chiuso in se stesso, che invita a partecipare ad una sarabanda comica e stracciona…” (7).
Ma secondo Ugo Volli “…Vitiello ha inciso drasticamente: per lui tutti i personaggi sono stupidi fantocci senza senso, cui gli attori non possono aderire; e allora ogni gesto, ogni battuta è fuori misura, serve non a identificare un personaggio o una situazione ma a falsificarla, a mostrare l’idiota assurdità della rappresentazione…” (8). Sfugge al critico la vera valenza dell’operazione tentata da Vitiello, ossia di creare uno spettacolo solo apparentemente casuale e basato sull’improvvisazione, mentre questo segue fedelmente le regole della sceneggiata napoletana, come era già successo l’anno precedente con Brecht, con le sue macchiette ed il linguaggio povero, popolare ed immediato. Uno spettacolo che ha come fondamento l’estemporaneità degli attori e una dinamica scenica sempre variabile, che lo rendono uno spettacolo imprevedibile.
Una nota a parte merita la partecipazione di quattro scugnizzi del quartiere Avvocata di Napoli allo spettacolo: “…(Vitiello) ha adottato un procedimento molto vicino a quello di Dalisi: i ragazzi del quartiere trovano col suo aiuto familiarità con forme base di teatro, una grammatica elementare e irrispettosa. E di questi segni grammaticali si servono selvaggiamente fino a trovare delle coincidenze, delle possibilità di sovrapposizione, di varianti alle loro modalità di comportamento, fino a trovare che i segni quotidiani e i segni elementari del teatro hanno possibilità di scambio…Proprio questo gettare alla rinfusa, per aria i segni del teatro e far vivere in un gruppo di ragazzi il piacere di scoprire la forza creativa dei propri gesti, della propria quotidianità grigia e repressa, ne fa un’indicazione preziosa di teatro (o di non-teatro). Teatro sociale, teatro politico, animazione, terapia di quartiere, sono parole solo indicative, come frecce dipinte in un deserto…” (9). “…Una frotta di “scugnizzi”…che lacerano il tessuto colto dello spettacolo con la forza dirompente dell’antica vocalità e dei gesti sapienti dei vicoli…” (10), una scommessa anche questa che accompagna come una nota di colore le varie rappresentazioni dello spettacolo: uno di loro, quando i genitori si sono trasferiti altrove, non ha voluto abbandonare il quartiere e lo spettacolo ed è rimasto con la nonna, venditrice ambulante di banane. Un altro, dopo due anni e mezzo trascorsi a Poggioreale per scippi vari, ha dovuto ottenere un permesso speciale dalla Questura per partecipare allo spettacolo!
Enzo Salomone, a distanza di anni, ancora non riesce a spiegarsi quale meccanismo sia scattato nella mente di Vitiello dopo la lettura del testo di Schnitzler, cosa lo abbia spinto ad andare nei vicoli di Napoli, “…una Napoli che è una Bastiglia ben più coriacea di quella francese dell’89, per giocare a questo gioco perverso del teatro fatto con i ragazzini, che interpretano la parte di attori-ladri e che raccontano le loro gesta. Una cosa orrenda e favolosa insieme…” (11). Vitiello scelse ragazzi che non erano veri attori, che non avevano mai fatto del teatro e gli chiese, ogni sera, di raccontare le loro storie, la loro vita, creando un momento di verità che annullava il teatro, che annullava la finzione, “…un gioco incredibile, sottile, un capolavoro che però, con il passare del tempo, non funzionava sempre, perché i ragazzi si stancavano, mentivano, recitavano. In effetti, non raccontavano più, ma recitavano.” (12).
Lo spettacolo terminava con una canzone napoletana, registrata a Torre del Greco durante la festa dei quattro altari, mentre sullo sfondo sono proiettate diapositive dei quadri di Delacroix.
Lo stesso Vitiello parteciperà come attore allo spettacolo, sarà il marchese ucciso e il critico Enrico Fiore ha voluto vedere in questo un ulteriore segnale: “…forse non a caso, ma per dichiarare in tutte lettere la morte del regista e l’affermarsi in questo spettacolo, con allegra spontaneità e perciò proprio brechtianamente, della lezione di Bertolt sul lavoro collettivo.” (13).
Recensioni:
- Anon. – “Al Teatro Nuovo questa sera Cacatoa verde“, La Nazione 27/4/1977
- Anon. – “Al Morlacchi stasera Il Cacatoa“, La Nazione 28/4/1977
- G. Rimondi – “Novità teatrale da stasera al Civico Mazzini”, l’Unità 13/5/1977
- S. Colomba – “Un gruppo napoletano in scena festosamente”, il Resto del Carlino 16/5/1977
- S.R. – “Positivo bilancio della IV edizione del Giugno Popolare Vesuviano“, Paese Sera s.d. – Arch. Vit.
- U. Volli – “La vendetta del brutto”, la Repubblica 30/6/1977
- R.F. – “Napoletani al Teatro Officina”, Corriere della Sera 30/6/1977
- m.g.g. – “Schnitzler napoletanizzato”, l’Unità 30/6/1977
- g. piac. – “Un cabaret parigino con troppi scugnizzi”, il Giornale 30/6/1977
- R. Mele – “Le frecce dipinte nel deserto”, la Voce della Campania n° 17 1977
- E. Fiore – “Festa alla Bastiglia”, Paese Sera s.d. – Arch. Vit.
Note:
- G. Rimondi – “Novità teatrale da stasera al “Civico” Mazzini”, l’Unità del 13/5/1977
- “…Le attività culturali dal 22 maggio al 19 giugno si sono articolate in una serie di spettacoli teatrali, musicali, cinematografici e di arti visive…attività sportive…incontri-dibattito. Lo sforzo organizzativo sostenuto dai promotori, tra cui Gennaro Vitiello riveste un ruolo vitale, è stato ampiamente ricompensato dalla riuscita delle iniziative che hanno coinvolto la popolazione…” – S.R. – “Positivo bilancio della IV edizione del Giugno Popolare Vesuviano”, Paese Sera s.d. 1977
- G. Vitiello – ibidem
- G. Vitiello – programma di sala Il cacatoa verde – maggio 1977
- S. Colomba – “Un gruppo napoletano in scena festosamente”, Il Resto del Carlino del 16/5/1977
- g. piac. – “Un cabaret parigino con troppi scugnizzi”, il Giornale del 30/6/1977
- G. Liotta – “Il Cacatoa verde”, Sipario agosto/settembre 1977
- U. Volli – “La vendetta del brutto”, la Repubblica del 30/6/1977
- R. Mele – “Le frecce dipinte nel deserto”, La Voce della Campania n° 17, 1977
- E. Fiore – “Festa alla Bastiglia”, Paese Sera s.d. 1977
- E. Salomone – intervista concessa il 4/10/1991
- E. Salomone – ibidem
- E. Fiore – ibidem
Testo tratto dalla tesi di laurea in Istituzioni di regia, “Gennaro Vitiello, regista” di Leonilda Cesarano, per il Corso di Laurea in Dams – Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Bologna, relatore prof. Arnaldo Picchi.