K – Il funerale del padre
1975
K – IL FUNERALE DEL PADRE
di E. Sanguineti e G. Manganelli
Regia di Gennaro Vitiello. scene e costumi Marisa Bello, Magda D’Ambrosio, Maria Izzo e Costantino Meo; musica a cura di Giorgio Vitale; disegni spaziali Anna Tricarico; diapositive di Renato Ottobre; scenotecnico Fernando Pignatiello.
Attori: Mario Salomone (K), Vincenzo Salomone (J); Vincenzo Salomone (A), Mario Salomone (B), Marisa Bello, Maria Izzo, Silvana Lianza, Giuseppe Bosone, Giuseppe De Nubbio, Michele Ragni (il corteo).
Prima rappresentazione: dato non noto.
Il funerale del padre
il contrasto con il padre
Nel 1975 Vitiello, dopo tre spettacoli tratti da testi tedeschi, propone insieme due testi italiani già rappresentati separatamente e in tempi diversi con il TS : K , di Sanguineti, e Il funerale del padre, di Manganelli. Entrambi i testi hanno in comune il tema del padre, che però gli autori sviluppano in maniera diversa: Sanguineti con uno stile commosso, poetico ed onirico nello stesso tempo; Manganelli, invece, in modo quasi violento, dissacrante, pieno di ironia; fermo restando in entrambi gli autori la volontà di rappresentare il tema con intenti trasgressivi e provocatori.
Per alcuni attori questa ripresa, e quelle successive di altri spettacoli già rappresentati, dovrebbe essere interpretata come sintomo di stanchezza: il regista preferisce lavorare sul già conosciuto. Potrei essere d’accordo con questa ipotesi se le diverse rappresentazioni fossero uguali, fossero cioè la semplice ed identica messa in scena proposta in passato, ma non è così.
Le notizie relative al primo K, più precisamente quello di SPASAMIOLIPI, sono poche; maggiori quelle relative allo spettacolo del 1971: lo spettacolo è ambientato in un caffè praghese e gli attori non parlano, sono solo corpi in movimento che prestano le loro sembianze a voci pre-registrate, a volte nascosti dietro un pannello semi-trasparente. Sul fondo sono proiettate diapostive di Praga, quadri di un pittore napoletano ed immagini umane angoscianti e stravolte. Fondamentale, per questa ripresa, fu la lettura fatta da Vitiello della Lettera al padre di Kafka, perchè è alla luce di questa lettera che Vitiello reinterpreta lo spettacolo, il testo. Il funerale del padre, invece, fu l’ultimo spettacolo messo in scena dal TS, quasi un presagio: anche qui i personaggi sono soltanto due, A e B, che si affacciano da una parete fatta di numerose finestre per parlare dei loro defunti.
Vitiello definì questo spettacolo sperimentale e nell’allestimento si soffermò in particolare sullo sperimentare in maniera incisiva una nuova possibilità di ottenere l’indispensabile effetto dello straniamento, “…che mira a produrre un immediato giudizio critico nello spettatore…” (1), evitando però di ricalcare stancamente Brecht. Vitiello, inoltre, sentiva la necessità di proporre un teatro sempre più simile al cinema, in modo da “…porre lo spettatore in condizioni analoghe a quelle dello spettatore cinematografico. Mentre a teatro lo spettatore…ha una prospettiva unica dell’azione che si va svolgendo sul palcoscenico e intanto può liberamente distrarsi a scegliere un particolare inutile dell’intero quadro rappresentato, a cinema lo spettatore osserva invece quella pluralità di punti di vista e quelle immagini in movimento…” (2).
Come ricorda anche Vanda Monaco: “…Con questi due spettacoli la Libera Scena cercò di affrontare la questione di un rapporto straniato platea-palcoscenico partendo dalle esigenze di uno spettatore contemporaneo educato alla percezione del dinamismo dell’immagine cinematografica…” (3). Per il regista il modo migliore è quello della destrutturazione del testo, in modo che lo spettatore non sia più passivo davanti all’evento teatrale, ma divenga parte attiva con lo stimolo a ricomporre logicamente le parti in cui l’evento è stato frantumato, fornendo così la sua attiva e fattiva partecipazione, il cui scopo ultimo era quello di trovare un senso personale, soggettivo allo svolgersi dell’azione, fornire un’interpretazione autonoma dell’evento.
Vitiello in entrambi i testi approfondisce il tema del padre, del rapporto con il padre inteso anche come tradizione e politica. E le diapositive saranno cambiate nelle riprese degli spettacoli: in K sono diapositive di uomini politici dell’epoca: “…era una messinscena fortemente ironica sulla condizione politica di quel periodo…” (4). Ne Il funerale del padre , invece, saranno proiettate immagini legate al rito mortuario: grandi carri tirati da cavalli, il barocco dei baldacchini, i monumenti e le cappelle dei cimiteri, le frasi sulle lapidi e i ritratti dei morti (5).
Come accadrà per spettacoli successivi, il Woyzeck ad esempio, per la messinscena dello spettacolo Vitiello preordinò primi piani, campi lunghi, pluralità di punti di vista, ma anche una “…riscoperta di archeologici mezzi cinematografici” (6) utilizzando silhouettes e diapositive. La scena è uno schermo su cui sono praticate aperture geometriche di varie dimensioni, attraverso di queste appariranno gli attori “chiusi o aperti”(7), in modo da rendere cinematografica sia la parte dedicata alla recitazione degli attori, soprattutto nel K, sia quella riservata alla proiezioni di diapositive, nel K e ne Il funerale del padre, ed alle silhouttes: “…I due personaggi del testo di Sanguineti e quelli della pièce di Manganelli appaiono così all’interno e al di fuori di un oggetto geometrico, prima camera e, poi, schermo cinematografico…” (8). Lo schermo, a sua volta, era contenuto in un cubo trasparente, all’interno del quale si trovavano attori e pubblico: “…K nel 1975 fu rifatto di sana pianta, cambia la scenografia che fu un cubo completamente trasparente, tutto basato sulle ombre dei due personaggi. Lo spettacolo era stato ideato per essere portato in alcune gallerie d’arte contemporanea. Era quasi una performance questo oggetto cubico, quasi un quadro dal vivo con due soli attori e due soli oggetti. Lo spettacolo poteva essere benissimo fruibile in una galleria e quello era anche il momento della body-art…” (9).
La musica aveva soprattutto la funzione di contrappunto ironico alle diapositive proiettate e seguiva i loro tempi.
“…Ricordo K di Sanguineti fatto da me e mio fratello Mario che faceva K, lungo, allampanato, disteso su di un sofà da psicanalista, e ad un certo punto la domanda: “Lei pratica la magia?”, la Praga magica di cui parla Ripellino! Ma per Vitiello, invece, non è la solita magia, quella normalmente intesa, ma l’ARTE di Kafka, e lo si deduce dalla risposta: “Per disperazione, si, per disperazione…”. Kafka scriveva di notte per evocare i suoi fantasmi, li fa diventare gesto letterario, letteratura e così realizza la magia, e questo Vitiello lo tiene presente…Intanto, l’uno è cattolico e confessa, l’altro è lo psicanalista…” (10).
Ritorna il tema della figura paterna, dell’autorità, ma anche la tradizione, – e, in senso lato, il teatro tradizionale -, la normalità, le apparenze a cui opporre la libertà di scegliere, di essere liberi, diversi, “veri”. I personaggi K e J, A e B sono sempre gli stessi, cambiano le cose intorno a loro, (scene, costumi, luoghi, pubblico, attori), ma loro restano immutabili, come le cose che dicono: cambiano i mezzi, ma le parole sono sempre le stesse! Vitello tenta, con questi due spettacoli, di trasformare il teatro, la recitazione, ma anche il cinema, in un oggetto vivente, una scultura vivente, quasi un quadro da ritoccare ogni volta, vivo e animato. In fondo, la dissacrazione della body art che, invece, tentava di teatralizzare il prodotto figurativo (11).
Note:
- G. Vitiello – programma di sala K – Il funerale del padre – giugno 1975
- G. Vitiello – ibidem
- V. Monaco – La contaminazione teatrale, cit., p. 173
- M. Bello – intervista concessa il 24/4/1993
- Renato Ottobre ricorda ancora tutti gli espedienti usati per poter scattare le foto all’interno dei cimiteri, con false lettere di presentazione dell’Accademia di Belle Arti, per una non bene specificata tesi sul “Barocco minore napoletano”!
- G. Vitiello – ibidem
- G. Vitiello – ibidem
- G. Vitiello – ibidem
- M. Bello – ibidem
- V. Salomone – intervista concessa il 4/10/1991
- “…Lo spettacolo è rappresentato per lo più in spazi piccoli…esso compie un itinerario estetico inverso a quello effettuato dalla Body Art e dall’arte Comportamentale negli ultimi anni: mentre le arti figurative, infatti, tendono sempre più a rappresentazioni di tipo teatrale, è questa volta uno spettacolo teatrale che si propone come “oggetto”, “pittura”, “scultura”…” – Programma di sala K – Il funerale del padre – cit.
Recensioni:
- vice – “Due autori d’avanguardia alla rassegna del Gruppi”, Corriere di Napoli 5-6/5/1975
- Anon. – “Incontro-dibattito e seminario su cinema e teatro a S. Giuseppe V.”, l’Unità 22/5/1975
- G. Baffi – “Il funerale del padre”, Sipario giugno/luglio 1975
Testo tratto dalla tesi di laurea in Istituzioni di regia, “Gennaro Vitiello, regista” di Leonilda Cesarano, per il Corso di Laurea in Dams – Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Bologna, relatore prof. Arnaldo Picchi.