La morte di Empedocle

1973
LA MORTE DI EMPEDOCLE
da J. C. F. Hölderlin
Traduzione, adattamento, sceneggiatura e regia di Gennaro Vitiello; oggetti-scultura di Riccardo Dalisi; immagini pittoriche di Ruggero Savinio; maschere di Marisa Bello e Maria Izzo; musica a cura di Giorgio Vitale; luci Fernando Pignatiello; costumi a cura dell’Ensemble; scenotecnico Costantino Meo; diapositive Renato Ottobre.
Attori: Silvia Ricciardelli (Pantea), Marisa Bello (Delia), Mario Salomone (Empedocle), Silvio Merlino (Ermocrate), Ernesto Iannini (Crizia), Vincenzo Salomone (Pausania), Maria Izzo (1a schiava), Cinzia Ortolani (2a schiava), Ciro Biondino (schiavo), Raffaella Mascaro (contadina), Stefano de Matteis (Manes).
Prima rappresentazione nazionale il 7 dicembre 1973 presso il Teatro Orione, Torre del Greco – Napoli.

La morte di Empedocle
il cinema e la Grecia

Con questo spettacolo, realizzato anch’esso grazie alla collaborazione del Goethe Institut di Napoli, Vitiello resta in Germania e continua la sua ricerca all’interno della cultura tedesca, recependone soprattutto le istanze più moderne, trasportandole nella sua terra, nell’entroterra vesuviano. La LSE lo presenterà in anteprima alla Prima rassegna internazionale di Teatro-Laboratorio (1), organizzata a Torre del Greco dal 2 al 9 dicembre 1973, presso il Teatro Orione, e sarà ripreso nell’aprile del 1974.

La morte di Empedocle di Hölderlin, come già l’Ur-Faust, è un’opera giovanile e frammentaria che non era mai stata messa in scena, suddivisa com’era in spunti lirici difficilmente assemblabili in un testo drammaturgico. Del testo esistono tre stesure frammentarie, le prime due La morte di Empedocle e Empedocle sull’Etna la terza, diverse soprattutto nello spiegare la morte di Empedocle: “Nella prima stesura, infatti, il filosofo greco si getta nel fuoco etneo per espiare la colpa di essersi proclamato superiore agli dei; nella seconda vuole esprimere, invece, il ritorno nostalgico al tutto vivente; nella terza, infine, la morte rappresenta la pacificazione universale del conflitto dell’umano, in una dimensione nichilista” (2).

Ritorna lo studio del frammento, che era iniziato con l’Ur-Faust“queste meravigliose pagine teatrali poiché dalla critica furono giudicate frammenti di inni più che scene articolate di un vero dramma, non avevano trovato chi ne tentasse una messinscena.” (3). Eppure è proprio questa peculiarità che attira Vitiello: la difficoltà del testo a compiersi in una struttura chiusa, “…ci sono anzi congeniali questi frammenti che richiedendo, per ricchezza di contenuti e forme di rottura, un’analisi attenta, ci aprono ad un approfondimento sulle possibilità evolutive e sulla funzione del nostro linguaggio teatrale.” (4).

Secondo Stefano De Matteis questo ed il testo precedente di Goethe furono scelti da Vitiello proprio per il loro essere frammenti: “…c’era una motivazione che riguardava il dibattito sul frammento, sull’importanza del frammento che dava la possibilità di ricostruire il mondo che c’è intorno al frammento, il mondo rappresentato dal frammento…Il frammento è un pezzo, ma anche una complessità e da questo frammento…posso far derivare tutto ciò che c’è intorno…C’era lo studio sul frammento, l’importanza del frammento, il frammento nella pittura, nelle opere d’arte, nella cultura, in Bataille…” (5). Vitiello suddivide il testo in tante piccole scene, in tanti quadri molto dinamici, con un ritmo incalzante, cinematografico: “…il primo adattamento fu una mia sceneggiatura, restituita poi al teatro senza una ritrascrizione, poiché, per più di un motivo, sarebbe risultata inutile…Lo spettatore, oggi, dal teatro pretende una maggiore dinamicità, un montaggio delle scene eseguito con stacchi di musica o di luce, un ritmo delle azioni più incalzante, qualità a cui il cinema lo ha abituato e che è bene non ignorare…” (6).

Il nucleo della vicenda è il conflitto di Empedocle, tra l’aorgico e l’organico, tra ciò che è limitato e ciò che spinge verso l’infinito, tra l’uomo e la sua sete di libertà e il potere repressivo, in questo caso rappresentato da Ermocrate, il sacerdote che tenta di costringere la massa all’eterna ignoranza e alla miseria (7). Per Vitiello il suicidio del protagonista non è sinonimo di fuga, ma un sacrificio necessario per liberare il popolo e, insieme, per fondersi con la natura, superando in questo modo i limiti umani: “…per l’attuazione tangibile del divino, Empedocle si lancerà nell’Etna” (8).

Per le musiche Giorgio Vitale parte dalla critica agli errori fatti con l’Ur-Faust“Laddove…la musica avrebbe potuto fornire un contributo fondamentale…al mantenimento del ritmo in un testo così irregolarmente costruito…essa si è invece inavvertitamente ma definitivamente persa dietro l’ameno gioco di colorare i quadri…La coscienza di tale fallimento…si è dunque presentata in tutta la sua fondamentalità al momento di iniziare il nuovo lavoro…” (9). L’autore decide di sottolineare il conflitto tra classicità e barbarismo a costo di sembrare anche troppo schematico, rifiutando la commistione tra la musica e le parole recitate, con la musica che ora faccia da contrappunto alle scene, ora le leghi fra loro, preannunciando le azioni o contrapponendosi ad esse. Vitale sceglierà di impiegare materiali musicali omogenei, vicini culturalmente e utilizzando soltanto strumenti a percussione, “…quali che siano l’ampiezza e il colore dominante degli organici…” (10): “…Giorgio Vitale ha così scelto della musica contemporanea a percussione, anche per il suo peculiare, evidente rigore formale…” (11).

La scena era composta da nove pedane identiche, 1.50 x 1.50 x 0.50 mt, che delineavano, di volta in volta, i diversi ambienti in cui si svolgeva l’azione; disposte una accanto all’altra indicheranno ambienti interni ( la casa di Empedocle o di Pantea), l’una sull’altra luoghi esterni (il rostro per l’arringa di Ermocrate, la gradinata del tempio, il pendio dell’Etna), acuendo la differenziazione tra fuori e dentro, tra chiuso e aperto, ed erano spostate a vista dagli stessi attori: “…Gennaro aveva preso una cosa dai primi esperimenti di Stein, quella delle pedane… su queste pedane c’erano gli oggetti e gli attori. Ciascun attore aveva una pedana, l’incontro di queste pedane erano incontri di relazione…relazioni che dovevano essere essenziali…” (12). “…Poi, desiderando talvolta un morandiano realismo poetico, ci serviamo di oggetti d’uso quotidiano: brocche di creta, vasi con gerani, un cesto con mele…L’oggetto viene dall’attore adoperato non solo realisticamente, ma in tutta la sua disponibilità ad un’utilizzazione multipla e certo non per la sua forma precisa, ma per l’uso che l’attore ne riesce a fare, in base alla sua necessità creativa…” (13).

L’architetto Dalisi collaborò anche a questo spettacolo, ideando “gli oggetti simbolici di Empedocle: il toro d’Olimpia, il trono, il grande libro-sfera, la zucca in cui raccoglie l’acqua per l’ultima volta…” (14), oggetti-scultura in carta pesta che sapevano “…annullare la loro specializzazione e codificazione passiva per far sì che siano l’attore e lo spettatore a decidere sull’allegoria delle sue forme aperte a più funzioni” (15).

Importanti furono anche “…le violente luci e gli audaci tagli laterali” (16), che creavano momenti assai drammatici.

Gli attori che impersonavano gli agrigentini avevano il volto coperto da maschere che li imbestialivano, stravolgendoli “come mostruose drammatiche presenze animalesche…” (17), “…maschere aggressive ed animalesche che stravolgono il volto del popolo e ne sottolineano le tensioni drammatiche…” (18).

Durante lo spettacolo, su teli bianchi, erano proiettate diapositive “d’una forte capacità emozionale, ricavate da pitture di Ruggero Savinio, da particolari dei templi di Paestum e da antiche architetture popolari del Sud” (19). I quadri di Savinio riprodotti appartenevano ad una serie degli anni ‘70, intitolata L’età dell’oro ed il protagonista era proprio Empedocle. Ma la cosa importante da sottolineare è che le immagini di cui parla Vitiello mostravano quello che rimane di quei posti, gli scavi attuali, i frammenti di una civiltà, e non la sua ricostruzione, “…era sempre ciò che resta di una cultura come noi possiamo leggerla oggi, non c’era nessuna esaltazione del primitivo, né addomesticamento, era ciò che resta e l’interpretazione che noi possiamo dare partendo da quello che è rimasto…Anche Savinio è preso come riferimento di una interpretazione attuale di come poteva essere l’età dell’oro, e quindi l’Empedocle che ritorna come rappresentazione attuale di un’epoca” (20).

Forse in maniera meno marcata, ma ritorna l’attualizzazione dei miti presente nel TS con Medea e Prometeo. Qui Empedocle “…diviene simbolo di una moderna coscienza di lotta, che spinge il popolo a prendere il potere, a ribellarsi coscientemente all’oppressione della classe sacerdotale, che lo vuole perpetuamente ignorante e povero” (21)e nello spettacolo si ritrova la rappresentazione attuale “…del rapporto tra l’intellettuale e il potere ed anche tra l’intellettuale e le masse popolari…” (22).

Lungo e meticoloso fu il lavoro sull’attore da parte di Vitiello: “far muovere e parlare una scultura greca” (23), questo il presupposto registico su cui l’attore doveva lavorare per costruire il proprio personaggio: “Gennaro mi indicava di pensare alla Magna Grecia per il mio personaggio, interpretavo Delia, un’amica di Pantea. Io, per costruire la mia statua-personaggio, andavo a prendere delle sensazioni personali proprio nella mia Puglia, una ricerca molto profonda dal punto di vista soggettivo…” (24). Come punto di partenza c’era il lavoro già fatto per il testo di Goethe, ma mentre la marionetta poteva essere adatta per il gioco teatrale dell’Ur-Faust, il testo di Hö lderlin richiedeva una gestualità più rigorosa, più consona al suo impegno rivoluzionario, una gestualità “…capace di fare del burattino una supermarionetta” (25), per questo alla marionetta di Kleist, che aveva influenzato e creato lo spettacolo precedente, si sostituì la statuaria greca e romana.

Tre i modelli ai quali ispirarsi:

  1. la scultura greca, per cui si organizzarono escursioni al Museo Nazionale di Napoli, per i reperti della Villa dei Pisoni, agli Scavi di Pompei, per gli affreschi di Villa dei Misteri, e nella zona flegrea, per poter osservare ed analizzare le immagini “purtroppo cristallizzate in opere d’arte” (26);
  2. i pupi siciliani;
  3. la sceneggiata napoletana.

L’attore doveva riuscire a comunicare lo struggente desiderio di Hölderlin di fondersi con il Mediterraneo, di diventare un tutt’uno con esso e contemporaneamente vincere qualsiasi interpretazione realistica: “…ci muovevamo come statue, quindi con dei movimenti fortemente impregnati di valenza estetica. Era sempre una gestualità bella, ma non più scattante come una marionetta…cercavamo di esprimere al massimo, con calore, profonda passione, i sentimenti del personaggio che ci veniva assegnato..” (27). “…Non ci mettiamo lì a fare i greci, ma in che modo noi possiamo ricostruire, in un clima assolutamente diverso, in un’area assolutamente diversa, in una cultura assolutamente diversa, quello che c’era intorno a questi frammenti, mediandolo con le nostre esperienze, con la nostra cultura…E poi si trattava non di frammenti descrittivi, ma di frammenti di parola, frammenti poetici…è stato faticosissimo studiare quello che era il senso delle parole, il loro significato…da un lato la libertà che dava il frammento, dall’altro il rigore che il frammento imponeva” (28). Il lavoro, questa volta, a differenza dell’ Ur- Faust, traspare anche fuori“…un grandissimo, immediato risalto hanno i riferimenti figurativi; evidentissimo è infatti lo studio gestuale degli attori…” (29); “…frutto di un particolare studio la recitazione degli attori, che tentano di vincere qualsiasi tentazione realistica, ispirandosi nella composizione del gesto, nell’atteggiamento dei corpi…alla figuratività della scultura e della pittura greca e romana…” (30).

Note:

  1. L’iniziativa ebbe sei edizioni, curate e promosse da Vitiello, in collaborazione con l’Associazione “Amici della Musica e del Teatro” ed il patrocinio di Enti pubblici. Scopo della rassegna era quello di promuovere un confronto tra gruppi diversi della ricerca teatrale, di provenienza internazionale (Polonia, Germania, Giappone, Argentina), in modo da realizzare uno scambio di esperienze, ma soprattutto l’arricchimento di quelli che vi partecipavano. Punto cardine di tutte le formazioni intervenute nelle varie edizioni fu il concetto di laboratorio.
  2. C. Lievi, introduzione, in F. Hölderlin: La morte di Empedocle, Einaudi, Torino 1990, p. VIII
  3. G. Vitiello – programma di sala La morte di Empedocle, dicembre 1973
  4. G. Vitiello – ibidem
  5. S. De Matteis – intervista concessa il 25/10/1995
  6. G. Vitiello – ibidem
  7. “Hö lderlin sceglie come personaggio della sua tragedia Empedocle perché in lui scorge l’uomo (l’organico) che si è identificato con la natura (l’aorgico); l’individuo che raccoglie in sé le molteplici forme dell’organico e dell’aorgico; poesia e scienza, arte e filosofia…Empedocle che vive la tragedia del limitato, del particolare, dell’individuale come antitesi dell’illimitato, del generale, dell’universale; di un organico che dovrà perire perché l’aorgico si attui.” – G. Vitiello – ibidem
  8. G. Vitiello – ibidem
  9. G. Vitale – Sulla preparazione del commento musicale per Empedocle – settembre 1973 – Arch. Vit.
  10. G. Vitale – ibidem
  11. G. Vitiello – ibidem
  12. S. De Matteis – ibidem
  13. G. Vitiello – ibidem
  14. g. b. – “Empedocle di Hö lderlin”, l’Unità del 27/4/1974
  15. G. Vitiello – ibidem
  16. g. b. – ibidem
  17. g. b. – ibidem
  18. g. b. – “Pantomima polacca e Libera Scena a Torre del Greco”, l’Unità del 12/12/1973
  19. G. Vitiello – ibidem
  20. S. De Matteis – ibidem
  21. g. b. – ibidem
  22. F. d. C. – “La morte di Empedocle“, Il Mattino del 9/9/1974
  23. G. Vitiello – ibidem
  24. M. Bello – intervista concessa il 28/4/1993
  25. G. Vitiello – ibidem
  26. G. Vitiello – ibidem
  27. M. Bello – ibidem
  28. S. De Matteis – ibidem
  29. g. b. – l’Unità del 12/12/1973
  30. F. d. C. – ibidem

Recensioni:

  • vice – “Stasera Holderlin per la regia di Vitiello”, Corriere di Napoli 7-8/12/1973
  • Anon. – “Morte di Empedocle al Teatro Laboratorio di Torre del Greco”, Paese Sera 10/12/1973
  • g.b. – “Pantomima polacca e Libera Scena a Torre del Greco”, l’Unità 12/12/1973
  • E. Fiore – “Empedocle sull’Etna muore per la libertà”, Corriere di Napoli 16-17/3/1974
  • vice – “Rassegna di prosa dei gruppi campani”, Roma 25/4/1974
  • g.b. – “Empedocle di Hö lderlin”, l’Unità 27/4/1974
  • E. Toda – “Teatro dialettale e classico per un pubblico nuovo a Salerno”, Paese Sera s.d. – Arch. Vit.
  • Anon: – “Da domani all’Anfiteatro Campano il ciclo degli spettacoli classici”, Roma s.d. – Arch. Vit.
  • F.d.C. – “La morte di Empedocle“, Il Mattino 9/9/1974
  • Anon: – “La morte di Empedocle sull’Etna“, Thèatron n° 154/155 – 1974

Testo tratto dalla tesi di laurea in Istituzioni di regia, “Gennaro Vitiello, regista” di Leonilda Cesarano, per il Corso di Laurea in Dams – Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Bologna, relatore prof. Arnaldo Picchi.