La storia di Cenerentola alla maniere de…

1979
LA STORIA DI CENERENTOLA ALLA MANIERE DE…
da Dodici Cenerentole in cerca d’autore di Rita Cirio
Adattamento e regia di Gennaro Vitiello; scene Maria Izzo; costumi Costantino Meo; luci Gennaro Vitiello; collage musicale LSE.
Attori: Giuseppe Bosone, Maria Izzo, Luigi Ferraro, Silvana Lianza, Michele Ragni, Vincenzo Salomone.
Prima rappresentazione nazionale l’11 ottobre 1979 presso il Teatro San Ferdinando – Napoli. Lo spettacolo, incompleto, era stato presentato all’ “INTERNATIONALES FESTIVAL KLEINER BÜHNEN” di Berna il 25 e 26 agosto del 1979.

La storia di Cenerentola alla maniere de…
una storia re-citata

Lo spunto per questo spettacolo venne da un libro scritto da Rita Cirio, critico teatrale dell’Espresso: Dodici Cenerentole in cerca d’autore (1), un testo che non voleva prendere in giro gli autori, ma i vari registi ed attori che li interpretano, gli schemi fissi cui si ricorre per le messinscene, la fossilizzazione di certe posizioni, la mancanza di estro creativo. Vitiello, nella sua trasposizione teatrale, non viene meno al senso del libro della Cirio, anzi aggiunge una Cenerentola: quella alla LSE (2).

Vitiello realizza la sua Cenerentola nel 1979, limitandosi a portarne in scena sei: quella di Sofocle, di Shakespeare, di Strindberg, di Pirandello, di Brecht, della LSE e di Garinei e Giovannini. Come per la Medea il regista apre le porte del suo teatro al pubblico perché assista alle prove, perché: “…si capiscono più cose vedendo fare una ruota che comprando una ruota bella e fatta…” (3). Alle prove assiste anche Rino Mele: “…Vitiello sta lavorando con molta attenzione rispettando il testo e sollecitando gli attori a trovare i punti di equilibrio tra la propria presenza e la rete di suggerimenti nella quale pur finisce col fissarli. “Lo dovete capire voi quando il segno è più preciso”, ripete…” (4).

Lo spettacolo è presentato in anteprima a Berna all’ “INTERNATIONALES FESTIVAL KLEINER BUHNEN” il 25 e 26 giugno del 1979, ma non è ancora completo, tanto che la stampa svizzera parla di un testo-laboratorio, di un work-in progress basato su una piacevole provvisorietà, quasi un canovaccio. Le Cenerentole presentate sono 6: quella di Sofocle che diventa Cenerigone, la Cenerelia scespiriana, la sfruttata proletaria di Brecht, quella di Strindberg, di Pirandello e la Cenerentola protagonista del musical con musiche dei Bee Gees.

Lo spettacolo forse risentì della mancanza di spazio su un palcoscenico troppo stretto, tanto di risultare a volte quasi sopratono, con le movimentate azioni sceniche molto più limitate del previsto, ma “…malgrado tutto, i napoletani provvedono al divertimento teatrale che nel programma del Festival finora non è stato certamente offerto, giacché portano con loro lo stimolo del diverso e la ricerca del nuovo…” (5). Gli attori sono lodati per lo spettacolo che trae la sua comicità dallo stravolgimento degli originali, ma anche “…dalla vivace e ricca di sorprese recitazione del gruppo…” (6).

Anche nelle pause per il cambio dei costumi e delle scene la citazione continua: il teatro che cita se stesso con diapositive che mostrano le scenografie precedenti o successive, gli attori catturati in pose plastiche e rigide. Di sottofondo la musica di scena che, oltre a citare se stessa, contiene ritagli di Purcell, Bizet, Wagner, Weill: “…in questo modo si giungeva ad una rete di rimandi, di ingressi trasversali, che per un’insita sua densità non ha paragoni. Le corrispondenze si notavano sin nei più piccoli elementi, per cui tutti i movimenti che si succedevano in vista di un’interezza, trovavano in ogni singola scena un equilibrio che convinceva non solo intellettualmente, ma anche sul piano estetico…La Libera Scena di Napoli ha dimostrato che anche dai rottami di una cultura trovata e irrigidita può rinascere una specie di vita teatrale capace di tener testa alle pretese più rigide…” (7).

Nell’ottobre dello stesso anno lo spettacolo è a Napoli, al Teatro S. Ferdinando, e dalle recensioni cittadine possiamo ricavare maggiori informazioni sulla messinscena. Lo spettacolo inizia con la Cenerigone di Sofocle: un assolo di bouzouki sottolinea l’ingresso sul palcoscenico di un Coro, con lunghe vesti nere; ma l’atmosfera sacrale viene interrotta da tre attori vestiti da bagnini che scendono in platea, tra gli spettatori, chiedendo: “Chi ucciderà il tiranno? Chi ucciderà il tiranno?”, parodiando l’Antigone che il Living stava portando in giro. Il tiranno, alla fine, sarà ucciso di notte dalla regine di picche, con un lungo coltellaccio di plastica “made in Taiwan”. Dopo la sua uccisione in sala cala il buio e la Carmen di Bizet precede l’ingresso in sala di un regista tutto vestito di nero, chiamato Giorgio (De Lullo o Strehler?) che dà indicazioni per una ricostruzione fedele di un testo pirandelliano e rimane estasiato dalle sue prove-luci: “E’ un Morandi!”, quando un faretto illumina delle bottiglie, “E’ un Savinio!” quando illumina un personaggio grottesco. Arriva un’attrice che dice di essere la vera e unica Cenerentola, ma ha due sorellastre identiche alla lei. Alla fine, una donna velata svela il mistero: Cenerentola è colei che la si crede. Buio, altre diapositive, la voce di Amanda Lear che canta Lilì Marlene fa da sottofondo all’ingresso di Zenerentòla, la favola secondo Brecht, con la fata metalmeccanica da tre soldi e la nostra eroina, proletaria sfruttata che spazza a terra. Qui il principe preferisce far allargare lo scarpone e sposare una delle sorellastre di Zenerentòla piuttosto che sposare una proletaria, lui un rappresentante della classe dei padroni! Il tutto sottolineato da cartelli in tedesco che “…straniano comicamente la linearità della vicenda…” (8). C’è poi la Cenerentola secondo Strindberg, rifiutata dal principe che doveva sposarla e che preferisce castrarsi invece di sposare una probabile figlia di serva. Cenerelia è la favola come l’avrebbe scritta Shakespeare, Cenerelia che a mezzanotte invece della scarpina perde il teschio del padre e che si suicida sul corpo del principe Forteazzurro dopo essere stata esclusa dalla spartizione delle terre.

Lo spettacolo viene interrotto da un’assemblea degli attori che contestano l’idea del regista di mettere in scena una Cenerentola sotto forma di musical, genere che troppo si allontana dalla linea del gruppo. Alla fine lo spettacolo si farà, la parte sarà data all’attrice più carina, anche se oca, in palcoscenico si riempirà di colori e luci e la febbre del Sabato sera invaderà il teatro!

Come si può facilmente immaginare, uno spettacolo diverso, particolare, che procede per accumulo di citazioni e contaminazioni, è possibile trovarvi di tutto: da Sofocle a Mastelloni, da Pirandello a De Lullo, da Brecht a Strehler, da Shakespeare a John Travolta.

Il regista ha deciso di ironizzare, ma in maniera leggera, sul teatro, proprio lui uomo di teatro e che del teatro conosce tutte le tecniche e tutte le forme. Vitiello fa compiere al teatro un’analisi su se stesso, un’operazione metalinguistica direbbero i critici, ma in questo modo la LSE si allontana da Brecht e dalla sua necessità di osservare e far riflettere sull’uomo e sulla sua condizione. Vitiello ha colto in pieno il cambiamento avvenuto a teatro: scopo del teatro non è più la riflessione dell’uomo su se stesso, ma sullo stesso teatro. La prima conseguenza è il ribaltamento del ruolo dello spettatore, che non deve essere più soggetto passivo, ma disposto a pensare ed ascoltare, e soprattutto deve conoscere molto teatro, visto che il linguaggio con cui si esprime questo tipo di teatro è la citazione.

Lo spettacolo piace al pubblico e sarà in giro per l’Italia dal 1979 al 1983: “…Ci si capisce poco di questa Cenerentola vitelliana, ma ci si diverte un mondo…” (9), ci si capisce poco anche perché gli attori parlano greco, tedesco, inglese, napoletano ridotti a fonemi, a puri suoni; “…un folle divertissement, colto e goliardico, critico e parodistico sui generi del teatro…” (10), lo stesso Michele Ragni, uno degli attori, ricorda: “…fu uno spettacolo che funzionò benissimo, un gioco, ci divertivamo tutti da pazzi…” (11).

La scena, di Maria Izzo, è di ispirazione futurista, con un quadrato sulla destra del palco che funge da balaustra o siparietto, ed un triangolo sul lato opposto, su cui si proiettano diapositive. I costumi “…sembravano disegnati da un ragazzo fantastico, tra il fiabesco e il guerresco…” (12) e fatti soltanto di carta e nastro adesivo: “…Il teatro è fatto di niente, di poesia e di immaginazione…Amo ancora questo modo di mettere in scena senza orpelli e cose inutili. Si, il costume è importante ma deve lasciare libera la fantasia dello spettatore…” (13).

Le luci erano manovrate dallo stesso Vitiello “…trasformavano la scena in un paesaggio mutevole da caleidoscopio…” (14).

Vitiello ci presenta una Cenerentola che non commuove più nessuno e che invece di essere premiata è sempre punita, “…una Cenerentola alla caccia di una scarpetta che la elevi a principessa…” (15), e lo fa con uno spettacolo che cambia ogni sera, confezionato sul palco, basato com’è sull’improvvisazione, come gli spettacoli di Brecht in napoletano o del Cacatoa Verde. Ma mentre in questi spettacoli gli attori avevano come punti di riferimento la sceneggiata, il teatro dei pupi, il dramma sacro, stavolta Vitiello chiede ai suoi attori – e anche agli spettatori – di trarre spunti e riferimenti da quella memoria collettiva che è il teatro dalla fine dell’800 alle avanguardie contemporanee, memoria collettiva continuamente alimentata dai mass-media (16): “…Molto carino, una goliardia…Ci lasciammo entusiasmare dal libro di Rita Cirio: prendendo una favola come pre-testo la si trasformava secondo Strindberg, Shakespeare, in modo da far rivivere la storia attraverso questi generi. Noi che facevamo teatro ci siamo divertiti a scimmiottarlo con costumi di carta, giocando alla Fregoli…Fu un gioco, non avevamo un testo, ma lo codificammo a furia di prove…Ogni sera lo spettacolo era diverso, era un gioco, una provocazione…” (17).

“Lo scopo…della messinscena sembra…piuttosto una riflessione critica ed autocritica che riguarda soprattutto i teatranti italiani, i loro idoli, riti e miti…” (18) e la LSE non risparmia nemmeno se stessa con l’assemblea della cooperativa, portando sulla scena tutti i luoghi comuni dell’attore socialmente impegnato, parlando il sinistrese condito con il napoletano: “…Abbiamo lavorato bene perché ci siamo sentiti liberi, sollevati dal momento tragico che avevamo vissuto (19)… Era tutto improvvisato: ogni sera poteva essere diverso…Era puro divertimento, noi che scendevamo in sala a fare il Living tra il pubblico, era la parodia della parodia…” (20).

Recensioni:

  • R. Mele – “Dalla TV all’officina”, la Voce della Campania 14/1/1979
  • S. Vitrano – “La fabbrica di Cenerentola”, la Voce della Campania 20/5/1979
  • Anon. – “Libera Scena di Napoli”, Internationales Festival Kleiner Buhnen Bern 11-30/6/1979
  • E. Fiore – “Se Cenerentola diventa il teatro”, Paese Sera s.d. – Arch. Vit.
  • D. Rea – “dai greci a Garinei e Giovannini”, Il Mattino 13/10/1979
  • C. Di Nanni – “La storia di Cenerentola confezionata in palcoscenico”, Roma 13/10/1979
  • U. Soddu – “Una favola, cento favole”, Il Messaggero 2/11/1979
  • N. Garrone – “Tra lustrini e paillette il principe e la serva coronano il sogno d’amore”, la Repubblica 2/11/1979
  • N. Fano – “Quante Cenerentole!”, Vita 3/11/1979
  • I. Moscati – “Questa Cenerentola è un po’ equivoca”, Paese Sera 3/11/1979
  • ag.sa. – “A ciascuno la sua Cenerentola”, l’Unità 6/11/1979
  • Anon. – “Arriva Cenerentola”, La Provincia 21/11/1979
  • R.P. – “Cenerentola secondo le mode”, Corriere della Sera 30/11/1979
  • R. Picchi – “La storia di Cenerentola alla maniere de…“, Sipario n° 403 1979
  • Anon. – “Cenerentola nel teatro dell’assurdo”, L’unione Sarda 28/4/1981
  • V.F. – “Una Cenerentola da cabaret tra vizi e vezzi teatrali“, L’Unione Sarda 5/5/1981
  • Anon. – “La Libera Scena Ensemble approda a Paglieta”, Paese Sera 8/5/1981
  • A. Carbonara – “In scena la fata metalmeccanica”, Napolioggi 27/1/1982
  • N.C. – “Un festival-meeting di teatro sperimentale”, il Punto 8/5/1982
  • Anon. – “Itinerario Sicilia: a Messina teatro sperimentale”, Gazzetta del Sud 12/5/1982
  • P. Ferro – “Itinerario di avanguardia”, il Soldo 15/5/1982
  • U.S. – “Inconsuete Cenerentole ad Agnano”, Il Mattino 9/9/1982
  • Anon. – “Ritornano le Cenerentole del Libera Scena Ensemble”, Paese Sera 9/9/1983
  • Anon. – “Cenerentola rivista in dodici maniere”, Il Mattino di Padova 12/2/1983
  • N. Menniti Ippolito – “Sei maniere diverse di essere Cenerentola”, Il Mattino di Padova 15/2/1983
  • Anon. – “Cenerentola story”, la Città 21/4/1983
  • F. Tei – “Nella Cenerentola secondo Brecht la fata buona è un metalmeccanico”, la Città 23/4/1983
  • P. Lucchesini – “Cenerentola? Shakespeare l’avrebbe raccontata così”, La Nazione 26/4/1983

Note:

  1. “Era un’idea di Rita, ma ricalcava molto il modo di intendere il teatro da parte di Vitiello, con il suo non volersi adattare ad un metodo, ad una tecnica ben precisa…” – G. Bosone – intervista concessa il 3/10/1991
  2. A sottolineare la conformità di vedute tra regista ed autrice esiste un documento, ritrovato nell’Archivio Vitiello, che parla di un adattamento televisivo della Cenerentola con la regia dello stesso Vitiello. Il titolo era Sei Cenerentole in cerca d’autore ed ogni puntata, di 50 minuti, sarebbe stata la parodia di autori classici di teatro: i tragici greci, Shakespeare, Goldoni, Pirandello, Brecht ed il musical. Nel 1982 fu realizzata una sceneggiatura da Pietro Favari e dalla stessa Cirio: Tre Cenerentole alla manière de…, nella versione di Pirandello, Brecht e Garinei e Giovannini. Era prevista la regia di Vitiello, mentre scene e costumi erano di Emanuele Luzzati.
  3. M.M. Altiero – “Il “Libera Scena” prova le scarpine di dodici Cenerentole”, Diario Vesuviano, s.d.
  4. R. Mele – “Dalla Tv all’officina”, La voce della Campania, 14/1/1979
  5. Anon. – “Un Italo Spektakel”, s.n., s.d. (Berna)
  6. ibidem
  7. ibidem
  8. L. Libero – “Quella Cenerentola sguattera di tutti”, l’Unità del 13/10/1979
  9. D. Rea – “Dai Greci a Garinei e Giovannini”, Il Mattino del 13/10/1979
  10. P. Lucchesini – “Cenerentola? Shakespeare l’avrebbe raccontata così”, La Nazione del 26/4/1983
  11. M. Ragni – intervista concessa il 17/6/1993
  12. D. Rea – ibidem
  13. P. Barra – intervista concessa il 14/11/1991
  14. D. Rea – ibidem
  15. C. Di Nanni – “La storia di Cenerentola confezionata in palcoscenico”, Roma del 13/10/1979
  16. “…Si è posta maggiore attenzione a quella memoria collettiva che, ora inconsciamente, ora consciamente, è imbevuta di tutto il prodotto tecnicorecitativo che va dalla fine dell’800 fino alle ultime esperienze dell’avanguardia contemporanea, pdùsodotto che spesso è amplificato ed interiorizzato, data la cassa di risonanza costruita dai mezzi di comunicazione di massa…” – G. Vitiello – programma di sala La storia di Cenerentola alla manière de… – settembre-ottobre 1979
  17. V. Salomone – intervista concessa il 4/10/1991
  18. Ag. Sa. – “A ciascuno la sua Cenerentola”, l’Unità del 6/11/1979
  19. Dopo lo spettacolo Mammà chi è? ci fu una profonda crisi nel gruppo a cui seguì una vera e propria epurazione e molti attori furono allontanati definitivamente dal gruppo, “…un periodo buio perché confuso” ricorda Michele Ragni – ibidem
  20. M. Ragni – ibidem

Testo tratto dalla tesi di laurea in Istituzioni di regia, “Gennaro Vitiello, regista” di Leonilda Cesarano, per il Corso di Laurea in Dams – Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Bologna, relatore prof. Arnaldo Picchi.