Mammà chi è?
1978
MAMMA’ CHI E’?
da Il cerchio di gesso del Caucaso di B. Brecht
Traduzione, adattamento e regia di Gennaro Vitiello; scene e costumi di Maria Izzo, Costantino Meo e Gennaro Vitiello; pupi del Maestro Ciro Perna; amministrazione, organizzazione e luci di Luigi Ferraro; musiche dato non noto.
Attori: Mario Salomone (il Cantastorie), Maria Izzo (Grusha), Vincenzo Salomone (Monaco, Azdak), Pina Ferrara (Natella), Michele Ragni (Simone Shashava), Mauro Buda (il Governatore, Natale, Suocera, 1a voce della Montagna, Messaggero), Peppe Bosone (Principe Kazbeki, Signora Giovane, 3a voce della Montagna, Invitata), Fabio Pacelli (2° Mendicante, Shalvà, Malgaro, Soldato Cap’ ‘e lignamme, 2a voce della Montagna, Giusùpp), Donata Lotito (Bambinaia, Serva di Palazzo, signora Anziana), Lello Boccalone (1° Mendicante, 2° Dottore, un Servo, l’Oste, Laurenzi, Invitato), Rosaria Cariello (3° Mendicante, una Serva, Nannina, voce dei Pupi).
Prima rappresentazione nazionale il 14 giugno 1978 presso il Teatro nel Garage, Torre del Greco – Napoli.
Mammà chi è?
‘e figl’ so’ piezze e core
“…Dopo anni di ricerche e di studio sul drammaturgo tedesco…e dopo una prima prova con “PADRONE E SOTTO” dal “Puntila”, l’Ensemble propone questo secondo “Brecht Vesuviano”…” (1).
Ad 80 anni dalla nascita di Brecht, nel 1978, Vitiello e la LSE decidono di interpretarlo ancora una volta con uno spettacolo liberamente tratto da Il cerchio di gesso del Caucaso, con un titolo che ammicca vistosamente alla sceneggiata napoletana (2): Mammà chi è?. Il regista, nel programma di sala, sottolinea che la trascrizione in dialetto del testo è avvenuta tenendo presenti i modelli della sceneggiata e delle altre forme di teatro popolare; la trascrizione ha rispettato il racconto originario, ma “…tendendo ad allargare i troppo angusti confini della traduzione in lingua, tramite un lessico che oscilla tra il napoletano e il siciliano…” (3): “…E’ infatti una traduzione da Brecht nel senso più integrale della parola: traduzione linguistica nelle varie “parlate” campane, dal dialetto del sottoproletariato urbano a quello dei “cafoni”, dall’italiano approssimativo dei magliari arricchiti a quello ridondante dei “paglietta”, dalle parole delle canzoni ai proverbi…” (4). Il testo “…non soffre ad essere recitato in dialetto meridionale, e i personaggi non sono meno teatrali se appaiono come tirati fuori da vecchi racconti, o da piccoli palcoscenici dei pupi, o da certi presepi viventi o cantate di pastori…” (5), quasi un accumulo culturale, non contrapponendo ma integrando culture simili con una diversa: quella tedesca di Brecht.
La storia è riprodotta con assoluta fedeltà e mantiene i nomi originali dei personaggi. Il narratore, un cantastorie di campagna, racconta così di Natella, moglie del governatore Abasvili, che per mettere in salvo le sue ricchezze abbandona il figlioletto Michele, che è sottratto a sicura morte dalla buona serva Gruscia, dopo una lunga fuga, piena di stenti e fatiche. Ma poi lo spettacolo si ferma qui, sull’annunzio dell’arrivo del giudice Azdak, bruscamente, come a non voler svelare al pubblico il finale. Questa conclusione è però provvisoria, perché “…dovendo scegliere tra il portare a termine lo studio intrapreso giungendo, forse “male”, fino alla conclusione brechtiana, e chiudere, assai prima “bene”, il racconto teatrale, gli attori del Libera Scena, pressati dall’ “esigenza” del debutto, hanno scelto la seconda ipotesi…” (6), in attesa di presentarlo completo il settembre successivo alla Festa Nazionale dell’Unità a Genova (7), dedicato proprio agli 80 anni di Brecht. Ma nemmeno a Genova la LSE porterà uno spettacolo definitivo: “…Con esemplare modestia, Vitiello e compagni ammettono di non aver trovato ancora la soluzione adeguata per tradurre nella forma da essi scelta quel nodo pur cruciale dell’azione drammatica…” (8). In ogni caso il gruppo, a Genova, “…si è improvvisamente e certo involontariamente trovato ad essere il rappresentante ufficiale di un modo diverso di fare Brecht…” (9).
Vitiello parlando dello spettacolo e confrontandolo con Padrone e sotto afferma che la trasposizione di quest’ultimo fu molto più semplice, mentre per Il cerchio di gesso del Caucaso questa risultò più complessa perché il testo aveva una forma poetica ed era una favola e “…sottrarre il discorso di Brecht ad un recupero accademico e ad una rilettura asettica da museo, per riproporre l’attualità con le forme espressive immediate, di larga fruizione…” (10) fu più complicato. La sola sceneggiata non bastava, visto il diverso contesto e gli intrecci più numerosi, né era una semplice riproduzione di Brecht in napoletano “…giacché l’impasto di elementi stranianti si dilata a gustose parodie dell’avanspettacolo e del café chantant, laddove si rappresentano i lussi di ricchi borghesi, a citazioni epiche del teatro dei pupi e a squarci improvvisi del dramma sacro medievale…” (11). L’intenzione è presente già nel titolo che ha il valore di un programma: il teatro popolare del Sud, la sceneggiata (12), ma anche l’Opera dei Pupi, -lo stesso Michele, il bimbo salvato da Grusa, è un pupo di Ciro Perna che indossa abiti da paladino, ma dal volto infantile (13)- il teatro sacro e l’avanspettacolo sono per Vitello il modo migliore di interpretare lo spirito e le indicazioni brechtiane, nonostante il rifiuto dei modelli epici, l’uso del dialetto al posto dell’italiano, il gridato invece del parlato. “…A mio avviso, “Mammà chi è?” obbedisce meglio a quei criteri così apparentemente paradossali e in realtà perfettamente in linea con gli assunti se non proprio con gli scrupolosi dettati formali del theaterarbeit brechtiano così pedissequamente e malamente applicato alla lettera dai suoi interpreti più formalisti e meno fantasiosi…” (14).
Lo spettacolo è doppio, nel senso che scorre sempre su due livelli: quello del narratore (15) e quello dei personaggi, quello della lingua e quello del dialetto, quello dei costumi convenzionali e quello dei costumi che confondono o ribaltano le indicazioni date prima, quello dell’attore recitante e quello dell’attore fermo, statico sul fondo, quasi che la scena fosse una cornice e “…la compresenza dialettica di attori ripresi in controluce, come sagome, e attori cuciti dentro una recitazione naturalistica fino al patetico…” (16). Il gioco del doppio continua anche all’interno di uno stesso personaggio: le guardie che inseguono Grusa sopra sono vestite da legionario romano, mentre sotto indossano pantaloni orientali. Secondo Rita Cirio lo spettacolo può anche essere diviso in due parti simmetriche: la prima parte, di sesso femminile, è dominata da Grusa, Madonna proletaria che compie una specie di via Crucis; la seconda, di sesso maschile, dal giudice Azdak, che “…non compie gesti eroici ma azioni esemplarmente ciniche, didattiche…” (17) e somiglia al Sindaco del Rione Sanità.
In generale lo spettacolo piace alla critica, piace per le invenzioni sceniche, trovate comiche e la sottile ironia: “…Un “Brecht Vesuviano” smaccatamente sentimentale e barocco…che non soffre…di nessuna delle malattie tipiche del teatro brechtiano ma anzi…scoppia di salute e di vitalità, di fuochi d’artificio linguistici e scenografici. Brecht, comunque, resta saldamente in scena…” (18), e anche se la prima mezz’ora è definita noiosa “…Dopo lo spettacolo si scioglie. Viene fuori con forza la sceneggiata e quindi i “caratteri” dei personaggi, alcuni napoletani, davvero esilaranti che sembrano proprio dipinti col pennello e risate, risate, risate…” (19). Dopo l’aggiunta della parte finale, il processo, lo spettacolo è definitio dalla critica compiuto e con “…una sua precisa fisionomia e ritmi esattamente definiti. E guarda caso, la parte più interessante è appunto quel secondo tempo, comprendente il giudizio di Azdak…si tratta, infatti, di una mezz’ora di teatro che, considerato in sé, è certamente fra le migliori realizzazioni napoletane degli ultimi anni…” (20).
Mammà chi è?, spettacolo diretto dal Cav. Gennaro Vitiello, è reclamizzato sui muri delle città con un manifesto a caratteri blu su fondo bianco, da tipografia di paese tipo colossale svendita, che grazie al titolo rimanda a qualche compagnia di sceneggiate napoletane.
La scena era formata da fondali principali che si srotolavano a creare ambienti e siparietti, disegnati alla maniera del teatro all’italiana barocco, con citazioni dalla pittura italiana del ‘400 e del ‘500, che andavano dal Giorgione a Lorenzo Lotto (21), e citazioni dal Bread and puppet: “…da una stoffa scura avvolgente l’intero spazio scenico e simulante una montagna fuoriescono le teste dei personaggi fantasmatici che dialogano con Grusa e la terrorizzano…” (22). Gli oggetti presenti sulla scena erano “…oggetti del vivere quotidiano di schietto sapore naturalistico (es. brocche di creta, sgabelli di legno) che a volte l’attore usa nei termini tradizionali e altre volte travalica ironizzando sullo spazio scenico…” (23).
I costumi, colorati e divertenti, a volte inguainavano gli attori facendoli sembrare dei pupi siciliani, altre volte erano abiti comuni ma con un forte segno caratterizzante per il personaggio. Altre volte ancora il costume diventa un oggetto scenografico lui stesso, come nel caso della montagna parlante. Accanto ai costumi, sono protagoniste della scena le luci che determinano l’atmosfera dello spettacolo, l’ora ed il luogo in cui l’azione si sta svolgendo. Totalmente assenti sono, invece, le musiche di scena per una precisa scelta registica, anche quando gli attori cantano perché “…una vera e propria musicalità è affidata alla conquista gestuale dello spazio scenico da parte degli attori e al ritmo delle singole scene…” (24).
Recensioni:
- G. Baffi – “Brecht più sceneggiata uguale Mammà chi è?“, l’Unità 15/6/1978
- E. Fiore – “‘O surdato ‘nnammurato in una favola di Brecht”, Paese Sera 16/6/1978
- R. Mele – “Buon divertimento (brechtiano)”, la Voce della Campania n° 13 1978
- P. Sabbatino – “Rilettura di Brecht secondo le forme del teatro napoletano”, Avanti! 28/6/1978
- Anon. – “Da vedere”, L’Espresso n° 37 1978
- U. Volli – “Gli ottanta anni del signor Brecht”, la Repubblica 1/9/1978
- A. Savioli – “Quando Brecht si scalda al sole del Sud”, l’Unità 15/9/1978
- R. Cirio – “Dio! Anche stasera Brecht”, L’Espresso 24/9/1978
- Anon. – “Da Napoli un Brecht secondo i modelli della sceneggiata”, l’Unità 15/11/1978
- U.S. – “Sceneggiata e café chantant”, Il Messaggero 17/11/1978
- N. Garrone – ” Com’è difficile il Caucaso visto dal Vesuvio”, la Repubblica 17/11/1978
- Anon. – “Sceneggiata e pupi per Brecht”, Il Tempo 17/11/1978
- G. Polacco – “Brecht napoletano”, Corriere della Sera 18/11/1978
- m.ac. – “Ironico Brecht alla partenopea”, l’Unità 18/11/1978
- C. Scorretti – “Brecht col pennacchio”, Vita 18/11/1978
- A. Ciullo – “Vitiello mette Brecht nel cerchio del Vesuvio”, Paese Sera 19/11/1978
- R. Cirio – “Io, mammeta e Brecht”, L’Espresso 10/12/1978
- E. Fata – “L’attività teatrale nel Sud”, Il Mattino 19/12/1978
- G. Vitiello – “dice il regista del Libera Scena Ensemble“, la Voce della Campania 11/2/1979
- Anon. – “A Paglieta torna in scena il teatro del Sud”, l’Unità 25/3/1979
- M. Ciarnelli – “Perché torniamo a Napoli dopo 7 anni di periferia”, l’Unità 30/3/1979
- F.d.C. – “Ora le mamme della sceneggiata sono perfide”, Il Mattino 1/4/1979
- S. Lori – “Una parodia brechtiana”, Roma 1/4/1979
- E. Fiore – “Il giudice del Caucaso contro un paglietta“, Paese Sera 1/4/1979
- Anon. – “Costituita l’Associazione Teatro Campania”, Roma 14/4/1979
- S.R. – “Nasce l’Associazione Teatro Campania”, Il Mattino 14/4/1979
- G. Valdini – “Molti temi, poche idee speriamo meglio nell’80”, L’Ora 26/4/1979
- F. Frascani – “Le rappresentazioni di prosa”, Campania GR2 30/4/1979
- P. Sabbatino – “Teatro di tipo popolare nel garage laboratorio”, Avanti! 5/5/1979
- L. Libero – “Napoli, provincia oh cara!”, la Voce della Campania 13/1/1980
- G. Baffi – “Viandanti in cerca di spazi”, la Voce della Campania 13/1/1980
Note:
- G. Vitiello – programma di sala Mammà chi è? – giugno 1978
- Per maggiori notizie sulla sceneggiata, si veda in Appendici articolo di Rita Cirio, cit.
- G. Vitiello – ibidem
- R. Cirio – “Io, màmmete e Brecht”, l’Espresso del 10/12/1978
- G. Baffi – Brecht più sceneggiata uguale “Mammà chi è?””, l’Unità del 15/6/1978
- G. Baffi – ibidem
- Vitiello parteciperà anche al convegno organizzato al margine del Festival: “Brecht in Italia” – Cfr. Appendice, articolo Lucio Romeo. Allo stesso Festival sarà presentato un altro Il cerchio di gesso del Caucaso con la regia di Benno Besson.
- Aggeo Savioli – “Quando Brecht si scalda al sole del Sud”, l’Unità del 15/9/1978
- L.R. – “Sceneggiata e pupi per Brecht”, Il Tempo del 17/11/1978
- Pasquale Sabbatino – “Rilettura di Brecht secondo le forme del teatro napoletano”, Avanti! del 28/6/1978
- U.S. – “Sceneggiata e café chantant”, Il Messaggero del 17/11/1978
- “…Il nostro rapporto con la sceneggiata non fu estetizzante e non fu una semplice opera di rivalutazione…Volevamo arrivare a più persone possibili e questo era il modo più semplice ed immediato…Era anche scoprire che tra le varie cose del tuo essere c’era la sceneggiata, rimossa, emarginata rispetto alla tua cultura, però presente!…Avevamo anche una corazza: “Tu non stai facendo “‘O Zappatore”, ma Brecht e c’era qualcosa di consolatorio in questo…Ma era anche ricollegare la tua cultura, quella napoletana, al grande discorso europeo…” – Enzo Salomone – intervista concessa il 4/11/1991
- “…Ne Il cerchio di gesso del Caucaso al posto del bambino Gennaro ha messo un pupo di Ciro Perna che scende dalla quinta di sinistra, ondeggia per poi fermarsi al centro. Viene afferrato da entrambe le madri e con il suo sguardo fisso, in quella posizione sembra un manichino di De Chirico…” – Enzo Salomone – ibidem
- Giorgio Polacco – “Brecht napoletano, Corriere della Sera del 18/11/1978
- “…Il narratore era vestito con una specie di costume tirolese e con in testa un cilindro sul quale era incollata una scacchiera. Con il resto dello spettacolo non c’entrava niente, ma Gennaro aveva visto qualcosa di simile durante un suo viaggio in Germania, ne era rimasto colpito e così lo aveva riproposto…Penso che a volte gli spettacoli, i costumi, le scene fossero un mezzo per esprimere e realizzare desideri interiori, suoi ricordi…” – M. Ragni – intervista concessa il 17/6/1993
- Rino Mele – “Buon divertimento (brechtiano)”, La voce della Campania del 25/6/1978
- R. Cirio – s.t. , l’Espresso s.d.
- Claudio Scorretti – “Brecht col pennacchio”, VITA mattino del 18/11/1978
- Andrea Ciullo – “Vitiello mette Brecht nel cerchio del Vesuvio”, Paese Sera del 19/11/1978
- Enrico Fiore – “Il giudice del Caucaso contro un paglietta“, Paese Sera dell’1/4/1979
- “…le scene, realizzate da Costantino di Meo e dallo stesso Vitiello, puntano ad una esasperazione del teatro all’italiana, con sipari, siparietti e fondali dipinti a mano…” , Anon. – s.t., l’Espresso del 17/09/1978
- Rino Mele – ibidem
- G. Vitiello – ibidem
- ibidem
Testo tratto dalla tesi di laurea in Istituzioni di regia, “Gennaro Vitiello, regista” di Leonilda Cesarano, per il Corso di Laurea in Dams – Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Bologna, relatore prof. Arnaldo Picchi.