Woyzeck
1980
WOYZECK
di G. Buchner
Traduzione, adattamento e regia di Gennaro Vitiello; scene Giovanni Girosi, aiuto scenografo Costantino Meo, assistente scenografo Gerardo Viggiani, realizzazione delle scene Alfonso D’Alessandro e Fulvio Spiteri; costumi Anna Maria Morelli, aiuto costumista Maria Izzo, assistente costumista Giusi Giustino, realizzazione dei costumi Sartoria Lacoart; musiche Hermann Beyer, assistente musicale e organizzazione Vincenzo Salomone; oggetti-scultura e attrezzatura Maria Izzo e Nicola Cuciniello; grafica Lamberto Lambertini.
Attori: Mario Buonoconto, Silvana Lianza, Giuseppe Bosone, Raffaele Boccalone, Sandro Gerelmicca, Eugenio Porcino, Michele Ragni, Teresa Girosi, Pina Ferrara, Luigi Ferraro, Mariarca Salomone, Maria Izzo, Fabio Ferraro.
Prima rappresentazione nazionale il 29 novembre 1980 presso il Teatro Goldoni – Venezia.
Woyzeck
frammenti di un discorso sociale
Il testo di Büchner fu presentato in prima nazionale il 28 novembre del 1980, pochi giorni dopo il terribile terremoto che colpì l’intero Mezzogiorno. Anche la LSE fu, per così dire, colpita dal sisma: si era perso quasi del tutto l’apparato scenografico per lo spettacolo. Questo imprevisto costrinse Vitiello e gli attori “…a delle invenzioni di emergenza, credute dai soliti spettatori ingenui dei segni palesi di dilettantismo vecchia maniera…” (1). L’incasso della rappresentazione fu devoluto alle popolazioni colpite dal terribile sisma; un altro segnale della forte componente sociale del gruppo, che con questo intendeva dimostrare concretamente la solidarietà per le vittime colpite dalla sciagura.
Vitiello, nel programma di sala, spiega il motivo che lo ha spinto a scegliere proprio questo testo, un testo che è il tentativo di mostrare il disfacimento della società, di mostrare gli sfruttatori e gli sfruttati: “…Indagando su Woyzeck indaghiamo sul disfacimento sociale in alto e in basso della società. Insieme al protagonista oppresso e sfruttato, vi sono i suoi sfruttatori e oppressori…” (2).
Per il suo lavoro, Bü chner trasse spunto da un fatto di cronaca realmente accaduto nel 1823: il soldato semplice Woyzeck convive con Maria, che però non lo ama e lo tradisce con tutti, nonostante gli abbia dato un figlio. Il soldato finge di non saperlo, ignorando le allusioni dei suoi commilitoni e del capitano. Ma alla fine esplode, accoltella Maria e morirà anch’egli, annegando in uno stagno mentre cerca di cancellare le macchie di sangue che ha sul braccio, dopo aver lasciato il suo cavallo al figlioletto che gioca ignaro in piazza.
Il Woyzeck è una ballata tragica in 25 scene, che Bü chner non ebbe modo di riguardare a causa della sua morte prematura. È un discorso frammentario che ha momenti espressivi molto felici, con un nuovo linguaggio pieno di ironia tagliente che sottolinea l’inevitabile fatalità che mostra gli uomini correre verso il delitto, senza riuscire a fermarsi o fare qualcosa per evitarlo. Un testo che piacque molto a Brecht, per l’ironia ed il nuovo uso che l’autore fa della lingua tedesca, e agli espressionisti per la sua struttura da STATIONENDRAMA, in cui la violenza, l’intensità aumentano scena dopo scena, quadro dopo quadro. Anche se, secondo Vanda Monaco, il modello usato dalla LSE si avvicina più a quello strindberghiano che non a quello espressionista (3).
Vitiello in un’intervista a Paese Sera spiega la sua attenzione verso il teatro di Bü chner e quello di lingua tedesca, che in precedenza gli ha fatto scegliere Goethe, Hö lderlin, Schnitzler, Brecht: “…Dal punto di vista dei contenuti, sono tutti autori rivoluzionari: lo stesso Bü chner amava…più fare la rivoluzione che venir rappresentato su un palcoscenico. Il teatro, per lui, era soltanto un mezzo per trasmettere determinati messaggi dopo il fallimento della rivoluzione…” (4). A differenza di Brecht, Vitiello dichiara che non era stato possibile applicare al testo di Bü chner la cultura teatrale napoletana e meridionale in genere, perché: “…qui di cultura teatrale meridionale ce n’è di meno: era un po’ delicato trasportare ai nostri giorni e in Italia il militarismo tedesco dell’Ottocento…Trasportare a Napoli quello di Bü chner avrebbe significato precipitare al livello di Franceschiello…” (5). Il testo sarà infatti recitato in italiano, anche se è stato provato in napoletano per raggiungere più facilmente immedesimazione e naturalezza.
Manca in questa messinscena quella che potremmo definire l’attualizzazione tradizionale di Vitiello, che è sostituita da un linguaggio teatrale più vicino alla contemporaneità, sottolineando le analogie dell’epoca di Bü chner e la nostra: “…Si nota l’analogia tra la restaurazione tedesca dell’epoca Bierdermeier e quella di oggi, due epoche che hanno visto il fallimento di due importanti rivoluzioni…” (6). E ancora: “…Quella fra il sistema di potere della Germania di allora e la struttura interna…della mafia, della camorra e del terrorismo…” (7).
I personaggi sono privi di sentimenti, apparentemente lineari, normali, eppure pericolosi, con un linguaggio da caserma: “…Per questo testo ho scelto una visione cinematografica usando…primi piani e campi lunghi, conservando però una tecnologia strettamente teatrale…” (8), influenzato sicuramente dal testo articolato per frammenti, quasi una successione di fotogrammi, che Vitiello decide di realizzare con la tecnica cinematografica.
La scena, di Giovanni Girosi, consisteva in una serie di siparietti mobili, carrelli scorrevoli, telai in legno, che rendevano possibili primi piani, campi lunghi, diverse angolazioni per la stessa immagine. Una citazione, o forse un omaggio al Woyzeck cinematografico di Herzog, di certo non “…un semplice espediente stilistico, ma un elemento strutturale significante…Poiché niente è meglio dell’immutabilità e della riproducibilità infinita dell’immagine cinematografica per dare l’idea dell’implosione a cui oggi assistiamo…” (9).
Abbiamo detto che Vitiello rispetta il testo di Bü chner, l’unica variante è nell’ordine dei 25 frammenti: il regista usa l’ultimo, il venticinquesimo, come prologo, con il custode di un museo che indica il quadro che ritrae il delitto di Woyzeck: “…I visitatori siamo noi spettatori, e infatti questa sequenza – che costituisce l’inizio dello spettacolo – si volge con la sala illuminata…” (10). L’assassinio per Vitiello non è la conclusione del dramma, è semmai la morte di un certo mondo, quello del “gusto del bell’oggettino, del vivere bene in casa” (11), di una società sgretolata e sull’orlo del collasso, e la nascita di un nuovo mondo, diverso, il figlio di Woyzeck, che rappresenta la speranza.
Uno spettacolo a frammenti, ma non frammentario, uno spettacolo-documento, uno spettacolo politico, come nella migliore tradizione di Vitiello.
Recensioni:
- Anon. – “Woyzeck al Goldoni pro-terremotati”, Il Gazzettino 28/11/1980
- Anon. – “In scena il soldato Woyzeck…”, l’Unità 28/11/1980
- G.A. Cibotto – “Lettura di Buchner”, Il Gazzettino 30/11/1980
- E. Fiore – “Un delitto sociale“, Paese Sera 8/2/1981
- U. Serra – “Avventure di soldati metropolitani”, Il Mattino 10/2/1981
- E. Fiore – “Sulla scena c’è il soldato Woyzeck”, Paese Sera s.d. – Arch. Vit.
- N. Miletti – “Avanguardia e sperimentazione”, Napolioggi 11/2/1981
- F.d.C. – “Miserie e virtù del buon soldato”, Il Mattino 12/2/1981
- E. Fiore – “Il soldato Woyzeck tra nevrosi e ideologia”, Paese Sera 13/2/1981
- C. Orefice – “Torna il Woyzeck simbolo della tragedia tedesca”, Avanti! 20/2/1981
- r.c. – “S’apre a Cosenza il Teatro dell’Acquario”, Gazzetta del Sud 7/3/1981
- Anon. – “Woyzeck con piglio ideologico”, Paese Sera 10/2/1981
Note:
- G.A.Cibotto – “Lettura di Buchner”, Il Gazzettino del 30/11/1980
- G.Vitiello – programma di sala Woyzeck – novembre 1980
- “…Lo Stationendrama di tipo strindberghiano si sviluppa sempre secondo una progettualità che affonda le radici nelle volontà di organizzazione conoscitiva delle emozioni che nascono all’interno delle varie situazioni: ecco perché la forma adottata dalla Libera Scena è piuttosto figlia del dramma strindberghiano che non dello Stationendrama dell’espressionismo tedesco, che pure in buona parte consegue da Strindberg, ma che ne aveva utilizzato la forma essenzialmente per rendere più acuto l’impeto emotivo, teso com’è noto fino allo spasimo, e scelto come unico terreno praticabile di comunicazione con lo spettatore…” – V.Monaco –La contaminazione teatrale – Bologna 19 pp. 169/70
- G. Vitiello cit. da E.Fiore – “Sulla scena c’è il soldato Woyzeck”, Paese Sera del 10/2/81
- G. Vitiello cit. ibidem
- G.Vitiello – programma di sala Woyzeck
- G. Vitiello cit. da E.Fiore – ibidem
- G. Vitiello cit. da N.Miletti – “Avanguardia e sperimentazione”, Napoli Oggi dell’11/2/81
- E.Fiore – ibidem
- E.Fiore – ibidem
- E.Fiore – ibidem
Testo tratto dalla tesi di laurea in Istituzioni di regia, “Gennaro Vitiello, regista” di Leonilda Cesarano, per il Corso di Laurea in Dams – Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Bologna, relatore prof. Arnaldo Picchi.