Teatro Esse
“Nel 1967 ha inizio a Napoli, in via Martucci, un movimento per un teatro altro. L’avvio lo dà il Centro Teatro Esse…”(1). Vitiello inizia così la storia del suo primo gruppo, il gruppo che riuscirà a fare teatro in modo diverso, altro, diventando un punto di riferimento per quelli che amavano il vero teatro.
In quel periodo la situazione a Napoli non era diversa dal resto dell’Italia, anche se qui mancavano i fermenti che si riscontravano nelle altre maggiori città. Ed è lo stesso Vitiello che dà un’analisi acuta e precisa di quello che succede a Napoli in quel periodo: “…Il Mercadante ospitava le più famose compagnie di giro. Al San Ferdinando trionfava la Scarpettiana. Al 2000 i Fratelli Maggio ipnotizzavano gli spettatori in sapientissime sceneggiate. Al Teatro di Corte e nello stesso Mercadante due tentativi di Teatro Stabile. Al San Carlino di Piazza Cavour si potevano ancora godere i Pupi nel ciclo delle storie di Carlo Magno. Il Mediterraneo ospitava la Primavera della Prosa. Jean Louis Barrault e Madaleine Renaud erano ogni anno al Politeama con una nuova messinscena della Comédie Francaise. Il San Carlo scoppiava di salute… Eppure, malgrado tanta apparente salute, qualcosa culturalmente non funzionava. Il Teatro che il potere culturale faceva circolare doveva essere piacevole e rassicurante. Bastava una minima trasgressione a far scattare lotte tra gli spettatori e a muovere la legge sulla censura…L’Arialda di Testori, in cui recitava la coraggiosissima e bravissima Pupella Maggio, non andò in scena perché ritenuta oscena. Visconti, che nelle regie di Cechov e Miller era applauditissimo, quando propose Signorina Giulia di Strindberg in una messinscena memorabile, fece gridare allo scandalo…”(2).
C’è a Napoli una vita teatrale arida e conformista, apparentemente florida, una situazione accettata da registi ed attori che non osavano proporre niente di diverso. Autori come Genet e Artaud non solo erano ignorati, ma addirittura non erano stati ancora tradotti! Viveva Napoli di un teatro povero di qualità ed originalità.
Il TS, per circa otto anni, cercò di smuovere la cultura teatrale da questo “…pericoloso torpore. Lottò, all’interno stesso del teatro, contro un teatro apparentemente colto, per un teatro vivo…”(3) . Un gruppo di amici, quasi tutti docenti dall’Accademia di Belle Arti di Napoli, decide di fondare un gruppo teatrale e nasce così il TS; Gennaro Vitiello vi “fu tirato dentro da Anna (Caputi) e dalla Nicoletti. In principio fu titubante, poi ci fu la passione e i relativi problemi in famiglia. Fu pensata, nei primi tempi, un’alternanza con un altro regista, Mario Miano, ma fallì subito…”(4).
“…cominciando dalla Sperienza e con essa investigare la ragione”: questo il motto che appariva sui manifesti degli spettacoli del gruppo, motto suggerito da Anna Caputi, una delle fondatrici del TS e che esprimeva lo spirito che avrebbe caratterizzato tutto il percorso di questi tecnici ed attori, uniti dalla voglia di fare teatro: “All’inizio volevamo chiamarci Teatro Sperimentale, poi ne usammo solo le inziali, TS, il cui logo appariva sulle locandine. Ma TS ricordava troppo Teatro Stabile, per cui si passò a Teatro Esse per esteso, sottolineando la ESSE che doveva richiamare la Sperimentazione della frase di Leonardo, trovata da Anna Caputi”(5).
Odette Nicoletti, Giovanni Girosi, Carlo De Simone e Gennaro Vitiello si incontravano a casa di Anna Caputi a Posillipo per parlare di teatro e decidere quale strada seguire. Si voleva sperimentare un modo nuovo di fare teatro, non far partecipare all’evento scenico solo gli attori, ma anche il pubblico, gli spettatori, così da non farli restare una massa passiva. E, principalmente, realizzare l’evento teatrale come “gioco scenico rituale”(6), idea fondamentale per il modo di fare teatro del TS, idea dalla quale non si allontaneranno. Dopo la creazione del gruppo e dopo aver lavorato in giro per Napoli, nasce la necessità di trovare un luogo fisso, stabile, in cui preparare gli spettacoli, rappresentarli e lavorare sull’attore. Questo spazio viene trovato in via Martucci: “…lo si ritenne adatto a creare uno spazio modificabile per articolare una molteplicità di messinscene che avevamo in mente di realizzare. Si era, scendendo alcuni gradini, di colpo in un locale largo ma amorfo che si estendeva ed allargava in fondo a sinistra. Esso, benché ampio, si mostrò più adatto all’attraversamento che alla sosta. La sua prima parte, quella immediata all’ingresso, la utilizzammo come atrio e zona per le mostre d’arte figurativa (7), l’altra, quella in fondo, come laboratorio di scenografia e camerini per gli attori. Invece, appena dopo l’ingresso, attraverso un piccolo arco della parete a sinistra, ci si trovava in un ampio stanzone largo una decina di metri e lungo 15. L’ampiezza di un buon palcoscenico. Lo stanzone fu sala e palcoscenico allo stesso tempo. Un’idea semplice ma fondamentale che consentì per anni di sperimentare il nostro lavoro teatrale.”(8) .
Si iniziò a modificare ed adattare lo spazio di via Martucci, costruendo una serie di pedane che si collocavano in vari punti della sala, a seconda delle occorrenze. “Nel muro di destra ed in quello a sinistra vennero infisse due balconate larghe mezzo metro. Si collocò sulla parete di fondo, ad ottanta centimetri da terra, un breve tavolato. Le sedie per gli spettatori venivano, di volta in volta, disposte nelle zone più disparate secondo le esigenze del gioco scenico…” (9).
Chiaramente uno spazio organizzato in questo modo richiese l’eliminazione del sipario che, nel teatro tradizionale, con la sua apertura immette lo spettatore nella realtà della rappresentazione. Vitiello e gli altri spiegarono la sua eliminazione con l’esempio del teatro greco antico, del teatro elisabettiano e del No giapponese: “…Tutti e tre questi modelli ci servirono per tentare di risvegliare l’immaginazione degli attori e degli spettatori, eliminando sia il sipario, sia l’apparato scenografico ottocentesco… Riuscimmo ad ottenere nella nostra sala-palcoscenico un rapporto fisico tra attore e pubblico e il gioco rituale scenico, come opposto alla qualità illusionistica della rappresentazione. Tolto l’illusionismo dell’apertura del sipario, del buio della sala e della musica-interludio, liberamente, come parodo da dramma greco, l’attore con la sua propria capacità recitativa-mimico-gestuale introduceva il pubblico entro la narrazione e l’azione dell’evento teatrale…”(10).
Gli spettacoli che si realizzeranno in via Martucci saranno, quindi, influenzati da questo spazio e dalla sua conformazione. Ci saranno scene che riempiranno l’intera sala, o la totale assenza di scene, sostituite da suoni e luci. Maggiore importanza assumeranno i costumi, che accentueranno la tipologia dei personaggi. Le attrezzature ed i macchinari di scena saranno ridotti al minimo: un teatro povero, in tutti i sensi, ma ricco di inventiva e di idee.
L’inaugurazione di via Martucci avviene il 27 dicembre 1966 con La magia della farfalla di Federico Garcia Lorca. E da questo momento inizia la storia del TS attraverso le regie di Gennaro Vitiello, o forse è l’inverso?
Note:
- G. Vitiello – “Funiculì, Funiculà” dell’ 8/2/1985
- G. Vitiello – ibidem
- G. Vitiello – “Funiculì, Funiculà” del 15/2/1985. Dopo la produzione degli anni ‘50 di Patroni Griffi e Pistilli a Napoli non c’è più scrittura teatrale, non si scrive più per il teatro. A questo silenzio drammaturgico si oppone una diffusa teatralità, basata sull’opposizione tradizione/sperimentazione, per cui in città o si assiste ad un teatro fatto di scarpettismi e di eduardismi, o si assiste ad un teatro sperimentale nuovo nel segno e nella ricerca scenica. Luciana Libero ha trattato il problema in maniera più diffusa nel testo Dopo Eduardo. Nuova drammaturgia a Napoli, Guida Napoli 1988.
- C. De Simone – intervista concessa il 24/10/91. Mario Miano firmò la regia insieme a Vitiello di un recital su Lorca; da solo la regia di Un sorso di terra di H. Boll, di Ceneri di S. Beckett e L’annuncio a Maria di P. Claudel. Ma la convinvenza fu difficile: subito fu evidente la forte personalità di Vitiello ed il forte carisma che aveva sugli attori; poco tempo dopo Miano preferì allontanarsi dal gruppo che iniziava a muovere allora i primi passi. Infatti tutti questi spettacoli non furono tenuti al TS di via Martucci, ma in vari luoghi: nella Cappella dei Girolamini, all’Aefer di Pozzuoli, al Teatro Politeama di Napoli e presso il Cenacolo di Nola.
- C. De Simone – ibidem
- G. Vitiello – “Funiculì, Funiculà” del 15/2/85
- All’interno del TS si tennero molte mostre di fotografia e di pittura, e ci fu una fitta e continuativa collaborazione anche con la galleria di Lucio Amelio. Inoltre a via Martucci iniziò la carriera della Nuova Compagnia di Canto Popolare con Roberto De Simone. Si organizzarono anche attività parallele, sempre legate al teatro, aperte al pubblico: corsi di yoga, di teatro orientale, di mimo.
- G. Vitiello – ibidem
- G. Vitiello – “Funiculì, Funiculà” dell’1/3/85
- G. Vitiello – ibidem
Testo tratto dalla tesi di laurea in Istituzioni di regia, “Gennaro Vitiello, regista” di Leonilda Cesarano, per il Corso di Laurea in Dams – Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Bologna, relatore prof. Arnaldo Picchi.