Kappa
1971
KAPPA
di E. Sanguineti
Regia di Gennaro Vitiello; scena Ferdinando Pignatiello; costumi dato non noto; aiuto regista dato non noto; suoni Luigi Ferraro; diapositive Renato Ottobre.
Attori: Mauro Carosi (J.) e Vincenzo Salomone (K.).
Prima rappresentazione il 17 giugno 1971 presso il Centro Teatro Esse, via Martucci, 18 – Napoli.
Kappa
o la ripresa con la lettera
K di Sanguineti è stato sempre definito una lettura in chiave freudiana di Kafka da parte dell’autore, anche se il protagonista viene indicato solo con l’iniziale del nome: K. appunto. Anche dell’altro personaggio presente sulla scena conosciamo solo l’iniziale del nome: J. Ma la corrispondenza salta subito agli occhi: K. è Kafka, mentre J. è Gustav Janouch, autore del libro Colloqui con Kafka.
“…Uno spettacolo di raffinata intellettualità, difficile eppure non poco suggestivo e accattivante…” (1): i due protagonisti sono in un caffè di Praga ed i loro discorsi si snodano attraverso varie fasi, la nostalgia degli anni di studio, K. che ricorda il difficile rapporto con il padre, il suo senso di colpa e l’angoscia di vivere, ma soprattutto la tristezza per la vita che si ripete sempre uguale, secondo un immutabile circolo: cominciamento-conclusione-ripetizione.
Il testo ha la struttura di un dialogo e quindi gli attori in scena sono solo due, ma Vitiello li priva della parola. Infatti i dialoghi sono registrati e diffusi da altoparlanti, in modo che la voce giunga ora da un lato, ora dall’altro della sala, creando una diffusione avvolgente che ha il compito di tenere desta l’attenzione del pubblico. Il lavoro degli attori è ridotto al minimo: semplici ombre dietro un pannello semitrasparente, che nulla possono dare o togliere allo scorrere delle parole sul nastro. Più che all’azione scenica degli attori, Vitiello punta a creare un’atmosfera. E infatti la loro presenza è ridotta ad un semplice movimento mimico, con le loro ombre ingigantite dalla luce di lucignoli.
Sul pannello sono proiettate diapositive di Praga di Renato Ottobre: ponti, case, palazzi, tetti, in modo da rendere reali i ricordi della giovinezza di cui parla K. nei primi quadri dello spettacolo, seguite poi da immagini di figure umane stravolte ed angosciate, in modo da sottolineare l’andamento concitato del dialogo, immagini tratte dai quadri del pittore Di Caterino, i cui originali erano esposti in contemporanea nel ridotto del teatro: “…La regia di Vitiello è stata impostata come una dimostrazione plastica di uno dei canoni kafkiani, quella impossibilità umana di sfuggire al dominio di una forza, di una potenza superiore..” (2).
L’unico che sembra accorgersi che si tratta della ripresa di uno spettacolo già presentato nel 1967 in SPASAMIOLIPI è il critico dell’Unità Pari: “…L’operazione non è gratuita…risponde al bisogno di illuminare, alla luce della psicanalisi, il conflitto ideale che oppone…K al suo amico Janouch. La nuova chiave di lettura è offerta da Vitiello da una riconsiderazione della Lettera al padre interpretata…alla stregua di una confessione dello scrittore praghese…” (3); solo che questa volta il testo di Sanguineti è proposto da solo, in maniera autonoma, non più come parte di uno spettacolo formato da più testi.
Il dramma appare come l’esaltazione della parola e contemporaneamente del dato visivo, in modo che le immagini degli attori in movimento commentino le parole preregistrate, e queste poi commentino l’azione. Un testo che rivaluta la parola, ne accentua l’importanza, ma nello stesso tempo valorizza il dato visivo, l’immagine. Per Carlo De Simone, componente del TS, Kappa è il segnale dei ripensamenti: Vitiello lavora sul già conosciuto, sul già elaborato, chiaro sintomo della crisi.
Dopo la lettura della Lettera al padre da parte di Vitiello e la successiva rimessa in scena del testo, si potrebbe intendere Kappa come una bestemmia contro il padre, ma una figura paterna non oggettiva ed esterna, ma soggettiva ed interna, tanto che la stessa psicanalisi sembra impotente, incapace di alleviare il senso di colpa e l’angoscia esistenziale del protagonista.
Questo testo, insieme ad un altro Il funerale del padre di Giorgio Manganelli, sarà una costante della produzione registica di Vitiello, che lo rimetterà in scena nel 1975 con la LSE. Bisogno di approfondire la ricerca stilistica da parte di Vitiello? Un modo per sperimentare diverse soluzioni registiche e sceniche? Ma perché solo con questo testo?
Oppure il ricordare continuamente il gesto volgare del padre può considerarsi un vano tentativo di abbassare il padre, un padre il cui corpo disteso su una mappa del mondo non lascia spazio al figlio. Un modo come un altro per rendersi conto che la negazione del padre è impossibile?
Note:
- FdC – “K come Kafka”, Il Mattino del 26/6/1971
- e.f. – “Un testo di Sanguineti al Teatro Esse”, Corriere di Napoli del 19/6/1971
- Pari – “Al Centro Teatro Esse Kappa di Sanguineti”, l’Unità del 26/6/71 (Kafka, infatti, scrisse una lunga lettera al padre, quasi una confessione, ma non fu mai consegnata al destinatario; fu recuperata tempo dopo da Max Brod)
Recensioni:
- pari – “Al Centro Teatro Esse Kappa di Sanguineti”, l’Unità 26/6/1971
- Anon. – “Teatro Esse a Napoli”, Sipario marzo-aprile 1971
- e.f. – “Un testo di Sanguineti al Teatro Esse”, Corriere di Napoli 19/6/1971
- F.d.C. – “K come Kafka”, Il Mattino 26/6/1971
Testo tratto dalla tesi di laurea in Istituzioni di regia, “Gennaro Vitiello, regista” di Leonilda Cesarano, per il Corso di Laurea in Dams – Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Bologna, relatore prof. Arnaldo Picchi.