La magia della farfalla
1966
LA MAGIA DELLA FARFALLA
di F. Garcìa Lorca
Traduzione e regia di Gennaro Vitiello; scena Giovanni Girosi, realizzazione della scena: Giovanni Girosi, Angelo de Falco, A. Abbisogno e B. Patanè della Scuola di Scenografia dell’Accademia di Belle Arti di Napoli; costumi Odette Nicoletti, realizzazione dei costumi: Odette Nicoletti, A. Belloni e M. Carosi della Scuola di Scenografia dell’Accademia di BB.AA. di Napoli; musiche: dato non noto; aiuto regista Giuliano Longone.
Attori: Davide Maria Avecone, Silvana Buzzo, Maria Capocci, Franco D’Amato, Paolo Falace, Antonietta Lambroni, Gino Ortieri e Giancarlo Palermo.
Prima rappresentazione nazionale il 27 dicembre 1966 presso il Centro Teatro Esse, via Martucci, 18 – Napoli.
La magia della farfalla
l’ex deposito diventa teatro
Il 27 dicembre 1966 si inaugura il Centro Teatro Esse, al numero 18 di via Martucci: dove una volta sorgeva un deposito di legname, inizia la produzione del gruppo teatrale che, tra alti e bassi, conflitti e pause di riflessione, continuerà fino al 1972.
Il testo scelto da Vitiello è un testo inedito per l’Italia di Federico Garcia Lorca, un’opera giovanile dell’autore e, in più, incompiuta, e che all’epoca della sua rappresentazione fu accolta con una marea di fischi. “El Maleficio della Mariposa…contiene tutti i segni della successiva poetica dell’autore. E’ come un bocciolo desideroso di sbocciare. Fu questo ad affascinarmi e a spingermi a tradurre la pièce, dopo che a Madrid acquistai l’edizione Aguilar dell’opera completa lorchiana, in cui appare per la prima volta stampato El Malefico. L’autore aveva scoperto il manoscritto originale mancante del finale. Altro motivo di fascino per me.”(1).
Sarà lo stesso regista a curare la traduzione del testo, cosa che, come vedremo, sarà un’altra caratteristica del gruppo di Vitiello: novità nella scelta dei testi, tanto da scegliere testi non solo mai rappresentati in Italia, ma addirittura non ancora tradotti. La traduzione del testo di Lorca un poco alla volta diventa una trasposizione, con una prosa affidata alla musicalità, ai ritmi di parole e canti popolari uditi nell’infanzia dal regista. L’opera di Lorca parla della realtà contadina, di una realtà solida e concreta, come quella descritta dal Ruzante, e come quella descritta attraverso la lente deformante della favola e del surrealismo, senza che la favola, l’allegoria facciano perdere il vero significato della storia: una commedia umile e inquietante, si dice nel prologo, una commedia dove “…a volte riderete udendo parlare questi insetti come giovanottini, come adolescenti…”(2), ma che nasconde una profonda lezione: attraverso il mondo popolare, rappresentato dagli animali del prato, fatto di proverbi e di buon senso, si parla dei sentimenti umani, dell’amore e di come questo sia stato dimenticato, per fare posto ai bisogni materiali:
SCAR. SANTA – …Avete visto lo scarafaggetto recitare sul prato?SCAR. CONT. – Lo vidi che faceva l’altalena su un filo di ragnatela… Invece di pensare a guadagnarsi onestamente da vivere.SCAR. SANTA – E’ tanto buono e tanto caro. Un gran poeta!SCAR. CONT. – Uno sfaccendato! Su d’un filo di ragnatela non vive nessuno.SCAR. SANTA – Comare, non bisogna criticare nessuno, disse San Scarabeo: …Nel mio regno valgono più quelli che cantano e giuocano che quelli che passano la vita lavorando…SCAR. CONT. – Ché, San Scarabeo non mangiava, comare? …Ditele a un affamato queste frasi. …San scarabeo non parlò per questa vita…(3).
La purezza del linguaggio, la sua poesia, il convivere senza sforzi di elementi surreali, fantastici e immaginari con elementi concreti, quotidiani, colpirono Vitiello.
I critici presenti allo spettacolo si accorsero subito di non trovarsi di fronte al solito gruppo teatrale d’occasione, alla filodrammatica domenicale o parrocchiale; infatti, molti degli attori provenivano da un corso di formazione promosso dalla RAI di Napoli, curato dal regista Morandi. Soprattutto Pari, il critico dell’Unità, ha parole di elogio e di speranza per il TS: “…Il primo riconoscimento positivo riguarda la scelta del testo…mi sembra un testo adatto per saggiare, oltre che la serietà interpretativa di attori e registi impegnati, la sensibilità del pubblico più avvertito ed esigente…”(4) .
Vitiello fu lodato per non aver scelto una soluzione d’avanguardia formale, sia per la recitazione che per la messa in scena, lasciando intatta la carica fantastica e nello stesso tempo realistica del testo, lasciando prevalere la forza della parola: “…la forza comunicativa proviene dalla concretezza realistica della parola, dal linguaggio lorchiano che illumina e definisce nettamente il mondo poetico della Spagna popolare…”(5). Il testo, infatti, come fa notare Vanda Monaco, avendo diverse possibilità di lettura, poteva far cadere il regista nello sperimentalismo avanguardistico, ma Vitiello e gli attori “…costruirono uno spettacolo dove l’area del fantastico, anche dal punto di vista formale, non negava la realtà logica della parola, ma vi si contrapponeva come elemento non eliminabile, creando una tensione assai forte fra il livello della ragione e del realismo, espressi dal dialogo verbale, e il livello delle emozioni e del fantastico…”(6) .
Il regista sottolineò soprattutto gli elementi realistici del testo, valori che venivano accentuati proprio dal contrasto con i personaggi favolosi che, però, esprimevano sentimenti solidi, reali: “…il risultato registico è notevole, proprio per la giusta calibratura dei vari elementi che concorrono alla perfetta espressione scenica. Così il tono recitativo degli attori, i costumi di un esasperato realismo e la scena suggerita…si fondono in un complesso assolutamente unitario.”(7).
La scenografia, di Giovanni Girosi, fu influenzata dalle arti figurative del primo novecento, Kandiskij in particolare, e fu definita funzionale e suggestiva: “…una scenografia che non si limita a suggerire uno spazio astratto, estraneo al pubblico, ma che avvolge, per così dire, gli spettatori, introducendoli di forza nel clima poetico e fantastico di Lorca…”(8). Tutta la sala, dal soffitto alle pareti fu coperta di forme luminose kandiskiane, che rimandavano, in maniera astratta e suggestiva, a piante del sottobosco e a cavità di alberi antichi. Una scena astratta e simbolica a cui si affiancava la concretezza realistica della parola di Lorca, concretezza che era rappresentata sulla scena dagli scarafaggi, dallo scorpione.
I costumi, di Odette Nicoletti, sono ricordati come bellissimi a distanza di anni: insetti macroscopici che, rispettando forme e proporzioni realistiche, diventano mostri favolosi, somiglianti a certe maschere inquietanti dell’antico teatro giapponese.
Il testo e la sua realizzazione erano assai difficili, in particolare per una prima prova, ma la realizzazione curata da Vitiello fu di notevole levatura, soprattutto per il non volersi in alcun modo adattare all’avanguardia imperante, che sicuramente non avrebbe scelto un testo come questo. Vitiello sa che i soli valori formali e accademici della sperimentazione non portano lontano, e che ben più importanti sono l’unità e la coerenza dei mezzi che portano alla realizzazione e alla riuscita di uno spettacolo teatrale. Vitiello ricorda i problemi che ebbe con gli attori: “Gli attori stentavano a capire il perché di quel palcoscenico-sala e i costumi-maschera che dovevano indossare. Dalle telecamere così attente ad inquadrare il volto di profilo e di prospetto, di colpo dovettero imparare l’uso del corpo in funzione del costume e della maschera. E non si poté impedire loro lo choc…”(9).
La regia cercò di unire la parola alla danza, e per questo fu necessario un lungo lavoro preparatorio da parte degli otto attori per poter esercitare il corpo agli sciolti movimenti della danza, con Vitiello attento osservatore, pronto a stroncare sul nascere “quelli che facilmente si lasciavano prendere da cadenze da balletto romantico. Movenze armoniose poteva e doveva averne solo la Farfalla…”(10). Tutti gli altri attori, per avere una gestualità del corpo più goffa e disarticolata, si esercitarono su brani di musica dodecafonica. Pian piano, gli attori si liberavano del ricordo di certi spettacoli di teatro bidimensionale, “ove si vedono gli attori che entrando dalla comune si schierano ritti a recitare in proscenio”(11), e costretti dalla danza a dover recitare con fiati dipendenti dal movimento del corpo, si allontanarono dagli stereotipi recitativi, conquistando tutto lo spazio scenico grazie ai movimenti continui della danza.
Vitiello nella Magia della farfalla pone le basi per la sua futura produzione registica, dove gesto, parola, scene, costumi, luci e musica lavoreranno insieme per la riuscita degli spettacoli, creando quello stile espressivo e quell’impegno non comuni che saranno il marchio di Gennaro Vitiello e del TS.
Note:
- G. Vitiello – “Funiculì, Funiculà” del 15/3/85
- F.G.Lorca – La magia della farfalla, prologo, dal testo tradotto da G. Vitiello, Arch. Vit.
- F.G.Lorca – ibidem, II atto, scena I, dal testo tradotto da G. Vitiello.
- Pari – “Teatro Esse: una positiva esperienza”, l’ Unità del 28/1/1967
- Pari – ibidem
- V. Monaco – La contaminazione teatrale, Patron editore, Bologna 1981, p. 160
- Pari – ibidem
- Pari – ibidem
- G. Vitiello – ibidem
- G. Vitiello – ibidem
- G. Vitiello – ibidem
Recensioni:
- E. Ferrati – “Macario, la Scarpettiana e un nuovo teatrino di giovani”, Corriere di Napoli 28/12/1966
- Anon. – “Un gruppo di giovani attori ha realizzato il proprio teatro”, Il Mattino 4/1/1967
- Pari – “Teatro Esse: una positiva esperienza”, l’Unità del 28/1/1967
Testo tratto dalla tesi di laurea in Istituzioni di regia, “Gennaro Vitiello, regista” di Leonilda Cesarano, per il Corso di Laurea in Dams – Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Bologna, relatore prof. Arnaldo Picchi.